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 Oggetto del messaggio: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 01/08/2012, 0:13 
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Ricevo da Lorenzo questa citazione. Per me è troppo bella per non farne l'apertura di un argomento nuovo, dedicato al senso delle musiche d'oggi e a come vengono usate.

Cita:
L'occulto conformismo della musica pop e rock (da Joe Fallisi)

L'analisi di quasi mezzo milione di brani rock, pop, hip hop, metal e di musica elettronica realizzati fra il 1955 e il 2010 svela l'adesione a un ridotto repertorio metrico e armonico, una scarsissima propensione all'evoluzione e il ricorso ad alcuni piccoli trucchi per simulare la novità (red)

Musica innovativa, diversa, di rottura? Per nulla: che si tratti di rock, pop, hip hop, metal, o elettronica, tutta la musica popolare degli ultimi 50 anni si rifà a una consolidata serie di modelli di riferimento, alcuni dei quali ereditati dalla tradizione classica, e non mostra alcun reale segno di evoluzione. L’apparente effetto di novità è ottenuto con un impoverimento degli accordi utilizzati, con l’introduzione di sonorità legate al timbro di qualche nuovo strumento e dal progressivo aumento del volume.

A scoprirlo è stato uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Barcellona, del Consiglio nazionale delle ricerche spagnolo e del Centro di ricerca matematica, sempre di Barcellona, illustrato in un articolo pubblicato su “Nature Scientific Reports”.

I ricercatori sono partiti dalla considerazione che la musica, come il linguaggio, è un mezzo espressivo universale che coinvolge elementi percettivamente discreti a cui impone una particolare organizzazione. In quanto universale, deve esibire alcune regolarità stabili, ma in quanto prodotto artistico che vuole veicolare emozioni deve incorporare variazioni di questi schemi che giocando sulla memoria e sulle aspettative dell’ascoltatore riescono a dare nuovo appeal ai pezzi. I ricercatori si sono così chiesti: “Possiamo identificare alcuni modelli che stanno dietro alla creazione musicale? I musicisti li hanno modificati nel corso degli anni? Possiamo individuare le differenze tra musica nuova e vecchia? C'è un'evoluzione del ‘discorso musicale'?”

Per rispondere a queste domande i ricercatori hanno sfruttato le tecnologie di elaborazione dell’informazione musicale oggi disponibili, applicandole a una base di dati ottenuta dal Million Song Dataset. Questa base di dati è costituita da ben 464.411 registrazioni musicali diverse – che spaziano tra rock, pop, hip hop, metal e musica elettronica – relative a produzioni realizzate fra il 1955 e il 2010 (corrispondenti a circa 1200 giorni di ascolto continuo). Gli autori della ricerca le hanno analizzate in funzione al volume (di registrazione), al contenuto armonico e al timbro (che è legato oltre che allo specifico strumento anche alle tecniche di registrazione e di riproduzione).

Ricorrendo a complesse analisi statistiche i ricercatori sono stati così in grado di identificare modelli e parametri che caratterizzano la musica popolare occidentale, scoprendo che molti di questi modelli e metriche sono rimasti costantemente stabili per un periodo superiore a 50 anni, indicando un alto grado di convenzionalismo nella creazione e nella produzione di questo tipo di musica. Di fatto, l’evoluzione è stata caratterizzata da tre tendenze: la riduzione della ricchezza armonica, l'omogeneizzazione della tavolozza timbrica (con i timbri frequenti che diventano sempre più frequente), e la crescita dei livelli del volume medio, che sta arrivando a minacciare – osservano i ricercatori - una ricchezza dinamica che fino a oggi è riuscita a conservarsi.

“Un brano vecchio – concludono gli autori - con progressioni di accordi un po’ più semplici, sonorità di strumenti nuovi in accordo con le tendenze attuali, e registrato con le tecniche moderne che hanno permesso un aumento di livelli di volume può essere facilmente percepito come innovativo, alla moda e di rottura.”

Intanto vorrei dire che non credo fosse necessario un gruppo di ricercatori universitari per scoprire quello che qualsiasi musicista, o amante della buona musica, già sa fin troppo bene :roll: e cioè che non evoluzione ma involuzione vi è stata negli ultimi 50 anni. Questi ricercatori ... braccia rubate all'agricoltura, come dice sempre il cabarettista Salvatore Esposito.
Poi, che le strutture musicali sian sempre quelle: basta vedere le armonie piatte di tutte queste robacce rock per capire che lo scopo profondo del tutto è togliere coscienza e consapevolezza, sino a lasciarsi cullare, e magari ondeggiare a braccia alzate durante i "concerti", così, sognanti.

Più specificamente: notato che il ritmo di 3/4 è ormai bandito? E che forse sopravvive solo in alcune musiche latinoamericane? Bene, anticamente solo i ritmi ternari erano ammessi, i binari (o 4ri) essendo considerati "diabolici". In effetti, il ritmo binario ha comunque l'effetto di legarci maggiormente alla terra. Perché ciò avvenga potrebbe essere soggetto di una ulteriore discussione, ma qui basti pensare che è quello dell'uomo che cammina: sta di fatto che è un ritmo che maggiormente porta verso il materialismo.
Di passaggio, la struttura del rock è poverissima, si basa su soli tre accordi, I, IV e V grado (per i profani si può dire: accordo di do magg, di fa magg e di sol maggiore) e la sua unica "trovata" è talora l'inversione del normale passaggio IV-V che diventa V-IV.

Ho cercato di non usare i termini arimanico-luciferico, come dovremmo sempre cercare di fare. Ma chi legge ha ben capito.
Purtroppo discutendo con Francesca Ghelfi (chi è? Francesca Ghelfi, Artista della parola e Terapeuta del linguaggio, la trovi anche su Rudolfsteiner.it, personaggio di un certo peso nella Società Antroposofica) lei mi e ci dichiarò che questo "preconcetto" verso il rock è un vecchiume, che occorre fare spazio ai giovani e che quindi il rock va più che bene ecc. ecc.
Le braccia le ho ancora al loro posto, ma quella volta mi sono cadute di botto. Disgraziatamente, entro la SA c'è, e pesa, anche questo. E mi fermo qui.

Dedico questo post a quel noto picchiarello che su antroforum mi sbertucciava di continuo perché sostenevo quanto sopra, mentre oggi, che i suoi autorevoli compagni di strada gli hanno chiuso ogni porta in merito, qualcuno accettando solo Bach, altri spingendosi al massimo verso la musica greca, ma comunque dicendo peste e corna del suo rock, bene, oggi se ne sta zitto e riverente, si è messo in tasca l'argomento e non ne parla proprio più. Complimenti per la coerenza e l'autonomia di pensiero!


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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 01/08/2012, 9:48 

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Ciao Giuliano,

il mio pensiero a riguardo è questo: sicuramente, se facciamo riferimento a
Cita:
complesse analisi statistiche
, il risultato è proprio quello che quei ricercatori hanno definito:
Cita:
riduzione della ricchezza armonica, l'omogeneizzazione della tavolozza timbrica, e la crescita dei livelli del volume medio
, ma la musica non può essere decontestualizzata dall'ambiente sociale da cui nasce e messa a confronto con quella di altri periodi e culture.

Motissime di quelle canzoni pop, rock, metal, ecc. hanno fatto vibrare le emozioni di tante generazioni. Uomini e donne che hanno amato così tanto che io non ne sarei mai stato capace. Molti, hanno pure sbagliato, si sono drogati, hanno aggiunto strofe "diaboliche" all'interno dei loro dischi, ma in fondo queste persone erano solo lo specchio dell'umanità di quel periodo.

Posso criticare chi ha messo un messaggio satanico nel suo disco, mentre gli Stati Uniti d'America, andavano al massacro delle popolazioni del Vietnam? Dove sta il male?

Tutta la musica popolare (POP in genere) sarà sicuramente meno ricca della musica "alta" del passato, ma in compenso, questa ha raggiunto tante di quelle persone che altrimenti non avrebbero avuto nessuna musica, solo perché nella loro condizione umana, ad esempio la musica alta classica, non la avrebbero capita.

Quante canzoni pop, hanno aiutato a modifcare determinate scelte. Cenerentola Innamorata di Marco Masini, a qualcuno fa venire da vomitare, ma a molti è stata di aiuto per prendere delle decisioni, per arminizzare un'anima spaventata dal futuro, e priva di amore. Che vogliamo fare, gli leviamo pure Masini, perché c'ha solo 4 note?

Il vero problema è che noi in fondo non amiamo questa umanità di cui facciamo parte, ci fa schifo, la vorremmo diversa da quella che è. Invece dovremmo cercare di sforsarci di trovare il bello anche nei Kraftwerk.

Un giorno una mia amica mi portò a conoscere Romolo Benvenuti (cognato di Scaligero), era il venerdì di Pasqua dell'anno in cui morì. Fui colpito dall'ambiente in cui ci trovavamo, dai quadri di Scaligero, dal fatto che quell'uomo aveva vissuto accanto a persone meravigliose, ma fui dispiaciuto che durante le poche parole che ci scambiammo, venne fuori una critica nei confronti della musica dodecafonica in merito alle dissonanze. Questa critica che proveniva da persone accanto a lui, ma alla quale lui non obiettò nulla, mi fece sentire che il mondo antroposofico e in quel caso il mondo Scaligeriano, si era creato un luogo privilegiato dal quale guardare il mondo degli stolti.

Tragedia nel mio cuore, non vidi amore, vidi critica. Forse il fatto che ci incontrammo nel giorno della crocifissione e morte di Gesù-Cristo, aveva un significato. Lui che s'era fatto ammazzare anche per quel soldato stolto che lo schiaffeggiò davanti al sommo sacerdote Hannah, solo perché aveva osato parlargli a testa alta. Anche per quello, Gesù-Cristo s'è fatto ammazzare perché l'ha reputato degno del suo amore.

Ma come posso ora io amare qualcuno che si ibmullona la faccia e sente i Megadeath a 200 di volume in cuffia? Io non ci riesco e non ci riuscirò mai se non provo a conoscerlo.

La Società Antroposofica e con essa Steiner e Scaligero, non sono reputati interessanti dal mondo, che infatti non li conosce, perché sono loro stessi che non conoscono il mondo e quindi non lo amano. E mi ci metto in mezzo anche io, che leggo solo ed esclusivamente di antroposofia e nel tempo ho lasciato gli altri interessi che avevo e questa conoscenza, non supportata da un elevato amore per il mondo, mi sta portando ad una antropofobia generalizzata, che noto anche in questo post che hai inviato.

Meno male che qualcuno nella S.A. crede ancora che il Rock non è il male! Meno male! Questa è la notizia vera che mi stai dando!

Dobbiamo trovare le capacità conoscitive di trovare del vero, del bello e del giusto, anche nell'arte contemporanea e non aggrapparci a uno stereotipo eccelso, che però è staccato dal mondo reale.

Un abbraccio forte, Pierfrancesco


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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 03/08/2012, 14:26 
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pierfrancesco ha scritto:
Anche per quello, Gesù-Cristo s'è fatto ammazzare perché l'ha reputato degno del suo amore.........
.....Ma come posso ora io amare qualcuno che si imbullona la faccia e sente i Megadeath a 200 di volume in cuffia? Io non ci riesco e non ci riuscirò mai se non provo a conoscerlo.

Caro PF
ci sono così tante cose nel tuo scritto che penso ti dovrò rispondere a rate. Comincio dalla citazione qui sopra. Tu colleghi il rifiuto del rock con il non-amore verso le persone. Non sono d'accordo, si tratta di due piani diversi.

Se un giovane vuole convincermi che un tale gruppetto o cantante (negli anni ci hanno provato con me citando i Rolling Stones, poi Vasco Rossi, poi M. Jackson, insomma il divo di moda) corrisponde all'odierno Beethoven, o almeno Rossini, non lo odierò per questo. Anzi è l'amore per la verità e per lui che mi farà sostenere il contrario. La musica è un campo spirituale, artistico, fatta per le persone, ma non solo, anche per le entità spirituali! Se non puoi comporre per gli uomini (magari perché non ti eseguono) fallo per Dio.
(Quanto al "di moda": è chiaro che in questo troviamo una opposizione tra ciò che è superficiale, passeggero, futile, e che viene usato dalle potenze ostacolatrici per annebbiarci la vista, e quanto invece ha ben maggiore consistenza - pur non essendo affatto "eterno" come i soloni sostengono retoricamente. E aggiungo che cent'anni fa il Grand Guignol pareva il massimo dell'artistico...).
Tutte le caratteristiche del rock (meno, certo, nella latinoamenricana o in altre musiche popolari) sono improntate ad influenze diaboliche, più avanti cercherò di darne una migliore spiegazione, ci vorrà un po' di tempo. Ora, a questo cane morto, chi ti dice che io non osservi la bella dentatura? Te lo dico subito, la osservo, detesto il rap proprio perché in qualche modo ne ammiro la forza negativa, detesto Celentano proprio perché è innegabilmente un grande addormentatore nell'ignoranza e nella banalità, e questo gli va riconosciuto! E detesto il rock ma riconosco l'abilissimo uso degli effetti elettronici, nonché certe novità espressive, vedi tecniche, dei relativi videoclip.
Quanto al giovane impiercinghito ne ho conosciuti e rispettati, convinto che fossero soprattutto stati sfortunati nelle possibilità di scelta. Proprio per questo era opportuno che, senza rifiutare loro, potessero comunque avere l'informazione che qualcos'altro esiste. Più o meno come con il drogato. C'è poco da fare: egli ha anche bisogno di un esempio il quale sia, concordo con te, mi pare tu l'abbia in qualche modo detto, raggiungibile.

E comunque. Io non odio il rock. E' lui che odia me. :roll:


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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 03/08/2012, 16:42 

Iscritto il: 12/09/2011, 8:29
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Zygmund Bauman - Amore liquido.
brano tratto dal Cap. Sulla difficoltà di amare il prossimo.


L'invito ad «amare il prossimo tuo come te stesso», dice Freud (in "Il disagio della civiltà"), è uno dei principi di fondo della vita civile. E' anche quello maggiormente contrario al genere di ragione che la civiltà promuove: la ragione dell'egoismo, e quella della ricerca della felicità. Questo principio fondante della civiltà potrebbe essere accettato come «sensato», fatto proprio e messo in pratica solo qualora ci si arrenda all'ammonimento teologico "credere quia absurdum" - credici perché è assurdo.

In realtà, basta chiedersi «Perché mai dovremmo far ciò? Che vantaggio ce ne può derivare?» per percepire l'assurdità della richiesta di amare il proprio prossimo - qualsiasi prossimo, per il solo fatto che è il mio prossimo. Se amo qualcuno, è perché in qualche modo se l'è meritato. «Costui merita il mio amore se mi assomiglia in certi aspetti importanti, talché in lui io possa amare me stesso; lo merita se è tanto più perfetto di me da poter io amare in lui l'ideale di me stesso [...]. Ma se per me è un estraneo e non può attrarmi per alcun suo merito personale o per alcun significato da lui già acquisito nella mia vita emotiva, amarlo mi sarà difficile».
La richiesta suona ancora più assurda e vana dal momento che fin troppo spesso non riesco a trovare alcuna prova del fatto che l'estraneo che mi si chiede di amare mi ama o mostra almeno nei miei riguardi «la minima considerazione. Se gli fa comodo, non esita a danneggiarmi, a schernirmi, a offendermi, a calunniarmi, a ostentare il suo potere su di me...».

E così, si chiede Freud, «A che pro un precetto enunciato tanto solennemente, se il suo adempimento non si raccomanda da se stesso come razionale?».

Alla ricerca di una risposta, si sarebbe tentati di concludere, contro ogni buon senso, che «ama il prossimo tuo» è un «comandamento [] che ha la sua effettiva giustificazione nel fatto che nulla contrasta in modo altrettanto stridente con la natura umana originaria». Minore è la probabilità che una norma venga rispettata, tanto maggiore è l'ostinazione con cui è probabile che venga reiterata. E l'ingiunzione di amare il prossimo è forse la norma che ha meno probabilità di tutte le altre di essere osservata. Allorché il saggio del "Talmud", il rabbino Hillel, venne sfidato da un potenziale convertito a spiegargli l'insegnamento di Dio nel tempo in cui lui, il convertito, fosse riuscito a stare su un solo piede, egli fornì «ama il prossimo tuo come te stesso» come unica ma esaustiva risposta, poiché in essa era racchiusa la totalità dei comandamenti di Dio.

Accettare tale ordine è un grande atto di fede; un atto decisivo, in virtù del quale un essere umano infrange e fuoriesce dal guscio degli impulsi, degli stimoli e delle inclinazioni «naturali» e si trasforma nell'essere «innaturale» che è l'uomo, a differenza delle bestie (e degli angeli, come sostenuto da Aristotele).
L'accettazione del precetto di amare il proprio prossimo è l'atto di nascita dell'umanità. Tutte le altre routine di coabitazione umana, nonché le loro regole predesignate o scoperte retrospettivamente, non sono che un elenco (mai completo) di note a margine di quel precetto. Qualora tale precetto dovesse essere ignorato o scartato, non ci sarebbe nessuno a compilare quell'elenco o a meditare sulla sua completezza.

"Amare il prossimo può richiedere un atto di fede; il suo risultato, tuttavia, segna l'atto di nascita dell'umanità. Segna anche il fatidico passaggio dall'istinto di sopravvivenza alla moralità".

E' un passaggio che rende la moralità una parte, forse una "conditio sine qua non", della sopravvivenza. Con tale ingrediente, la sopravvivenza di "un uomo" diventa la sopravvivenza dell'"umanità" presente nell'uomo.
«Ama il prossimo tuo come te stesso» presenta implicitamente l'amore di sé come qualcosa di assiomaticamente dato, come qualcosa di sempre-già-esistente.

L'amore di sé è una questione di sopravvivenza, e la sopravvivenza non necessita di comandamenti, dal momento che le altre creature viventi (non umane) ne fanno benissimo a meno. Amare il prossimo come si ama se stessi rende la sopravvivenza "umana" diversa da quella di ogni altra creatura vivente. Senza questa estensione/trascendenza dell'amore di sé, il prolungamento della vita fisica, corporea, non è ancora, di per sé, una sopravvivenza "umana"; non è il genere di sopravvivenza che contraddistingue gli uomini dalle bestie (e - non dimentichiamolo mai - dagli angeli). Il precetto di amare il prossimo sfida e sconfigge gli istinti dettati dalla natura; ma sfida e sconfigge anche il significato della sopravvivenza stabilito dalla natura e di quell'amore di sé che la protegge.

"Forse amare il prossimo non è un elemento di base dell'istinto di sopravvivenza, ma neanche l'amore di sé, scelto a modello di amore per il prossimo, lo è".

Amore di sé: cosa significa? Cos'è che amo «in me stesso»? Cos'è che amo quando amo me stesso? Noi esseri umani condividiamo l'istinto di sopravvivenza con i nostri cugini stretti, meno stretti e distanti: gli animali; ma quando si tratta di amore di sé, le nostre strade si dividono e restiamo soli.
E' vero che l'amore di sé ci induce ad «aggrapparci alla vita», a tentare in tutti i modi di restare vivi, nel bene e nel male, a opporsi e controbattere a qualunque cosa possa minacciare la fine prematura o improvvisa della vita, e a proteggere, o meglio ancora sviluppare la nostra salute e il nostro vigore fisico per rendere tale opposizione efficace. In ciò, tuttavia, i nostri cugini animali sono maestri non meno dotati dei maggiori cultori della fitness e maniaci della salute tra noi uomini. I nostri cugini animali (eccezion fatta per quelli «addomesticati», che noi, i loro padroni umani, siamo riusciti a spogliare delle loro doti naturali affinché possano meglio assecondare la nostra, anziché la loro, sopravvivenza) non necessitano di alcun consulente che dica loro come restare vivi e mantenersi in forma. Né hanno bisogno che l'amore di sé insegni loro che restare vivi e in forma è la cosa giusta da fare.
La sopravvivenza (sopravvivenza animale, sopravvivenza fisica, corporea) può fare a meno dell'amore di sé. Anzi, starebbe meglio da sola che in sua compagnia!

Le strade dell'istinto di sopravvivenza e dell'amore di sé possono correre parallele, ma possono anche imboccare direzioni opposte... L'amore di sé potrebbe "ribellarsi" al perpetuarsi della vita. L'amore di sé potrebbe spingerci ad "ambire" il pericolo e ricercare la minaccia. L'amore di sé potrebbe indurci a "rifiutare" una vita che non è all'altezza degli standard del nostro amore e dunque non degna di essere vissuta.

Questo perché ciò che amiamo nel nostro amore di sé è un proprio io degno di essere amato. Ciò che amiamo è lo stato, o la speranza, di essere amati. Di essere "oggetti degni di essere amati", di essere "riconosciuti" come tali, e di ricevere adeguata "prova" di tale riconoscimento.


In breve: per essere dotati di amore di sé, ci occorre essere amati. Il rifiuto dell'amore - il diniego dello status di oggetto degno di essere amato - genera odio di sé. L'amore di sé si costruisce con i mattoni dell'amore offertoci da altri. E qualora si utilizzino altri materiali, devono essere ricalchi, per quanto ingannevoli, di tale amore. Altri devono amarci prima che noi possiamo iniziare ad amare noi stessi.

E come facciamo a sapere di non essere stati snobbati o scartati come un caso senza speranza; che l'amore c'è, potrebbe venire, verrà; che ne siamo degni e quindi abbiamo il diritto di gustare e indulgere all'"amour de soi"? Lo sappiamo, crediamo di saperlo, e veniamo rassicurati sul fatto che tale convinzione non sia errata, quando gli altri ci parlano e ci ascoltano. Quando ci ascoltano con attenzione, con un interesse che tradisce/segnala una disponibilità a rispondere. In questi casi, recepiamo che siamo "rispettati". Riteniamo, cioè, che ciò che pensiamo, facciamo o intendiamo fare sia rilevante.

Se altri mi rispettano, allora è ovvio che dev'esserci «in me» qualcosa che solo io posso offrire ad altri; e ovviamente esistono degli altri che sarebbero ben contenti di ricevere ciò che io posso offrire loro. Io sono importante, e parimenti importante è ciò che io penso, dico e faccio. Non sono una nullità, facile da rimpiazzare e gettare via. Io «faccio la differenza», non solo per me, ma anche per altri. Ciò che dico e ciò che sono e faccio conta - e questo non è soltanto un volo della mia fantasia. Qualunque cosa ci sia nel mondo che mi circonda, quel mondo sarebbe più povero, meno interessante e meno promettente qualora io dovessi improvvisamente cessare di esistere o andarmene altrove.

Se questo è ciò che ci rende degli adeguati e appropriati oggetti di amore di sé, allora l'invito ad «amare il nostro prossimo come noi stessi» (vale a dire, ad aspettarsi che il prossimo desideri essere amato per le stesse ragioni che stimolano il nostro amore di sé) invoca il desiderio del prossimo di vedere riconosciuta e confermata la propria dignità in quanto depositario di un valore unico, insostituibile e non smaltibile. Tale invito ci induce a presumere che il nostro prossimo rappresenti effettivamente tali valori, almeno fino a prova contraria. Amare il nostro prossimo come amiamo noi stessi significherebbe dunque "rispettare la reciproca unicità": apprezzare il valore delle nostre differenze, le quali arricchiscono il mondo che tutti insieme abitiamo, rendendolo un luogo più affascinante e godibile e ampliando ancor più la cornucopia delle sue promesse.


Nella storia del Rock molti sono morti in maniera tragica, forse perché per amor di sé, hanno reputato più degno morire che vivere una vita a metà?

ginogost ha scritto:
Tutte le caratteristiche del rock (...) sono improntate ad influenze diaboliche ...


Non sto dicendo che nella musica rock non vi siano influssi ahrimanici, ma non ve ne sono di più o di meno che in tutte le altre attività del mondo contemporaneo. Io credo che nel rock ci sia stata anche una forza, che ha dato il coraggio a tante persone di rifiutare una vita non degna di essere vissuta.

ginogost ha scritto:
Quanto al giovane impiercinghito ne ho conosciuti e rispettati, convinto che fossero soprattutto stati sfortunati nelle possibilità di scelta. Proprio per questo era opportuno che, senza rifiutare loro, potessero comunque avere l'informazione che qualcos'altro esiste. Più o meno come con il drogato. C'è poco da fare: egli ha anche bisogno di un esempio il quale sia, concordo con te, mi pare tu l'abbia in qualche modo detto, raggiungibile.


Non lo so! Io credo che ci sia molto da fare. L'esempio già c'era, era già venuto il Cristo, ma mancava (e manca tutt'ora) chi lo testimoniasse. E la testimonianza è prorpio quella che indica il Bauman. A ben poco credo che servano le suddivisioni di ciò che si considera bene e male: ovvero un nuovo moraleggiare.

Frasi tratte dall'opera di Jim Morrison:

Non dire mai che i sogni sono inutili perché inutile è la vita di chi non sa sognare.

Ci sono diversi tipi di libertà, e ci sono parecchi equivoci in proposito? Il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero. Si baratta la propria libertà per un ruolo. Si barattano i propri sensi per un atto. Si svende la propria capacità di sentire, e in cambio si indossa una maschera. Si può privare un uomo della sua libertà politica e non lo si ferirà? Finché non lo si priverà della sua libertà di sentire. Questo può distruggerlo.

Dicono che sbagliando s'impara, allora lasciatemi sbagliare.

La notte è un pozzo nero dove intingo inchiostro per le mie poesie.

Siamo buoni a nulla ma capaci a tutto.

La liberazione interiore è l'unica cosa per cui valga la pena di morire, l'unica per cui valga la pena di vivere.

L'unico modo per sentirsi qualcuno è sentirsi se stessi.

Talvolta mi piace vedere la storia del rock'n'roll come l'origine della tragedia greca. Immagino un gruppo di fedeli che danzavano e cantavano in piccoli spazi all'aperto. Poi un giorno dalla folla emerse una persona posseduta* e cominciò a imitare un Dio.

Se hai un'idea rispettala, non perché è un'idea, ma perché è tua.


* In questa parola forse si può rintracciare l'autocoscienza di non aver vinto la battaglia. Ma questo significa che non era una buona battaglia?


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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 05/08/2012, 0:56 
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Iscritto il: 13/07/2011, 20:31
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pierfrancesco ha scritto:
Un giorno una mia amica mi portò a conoscere Romolo Benvenuti (cognato di Scaligero), era il venerdì di Pasqua dell'anno in cui morì. Fui colpito dall'ambiente in cui ci trovavamo, dai quadri di Scaligero, dal fatto che quell'uomo aveva vissuto accanto a persone meravigliose, ma fui dispiaciuto che durante le poche parole che ci scambiammo, venne fuori una critica nei confronti della musica dodecafonica in merito alle dissonanze. Questa critica che proveniva da persone accanto a lui, ma alla quale lui non obiettò nulla, mi fece sentire che il mondo antroposofico e in quel caso il mondo Scaligeriano, si era creato un luogo privilegiato dal quale guardare il mondo degli stolti.
Tragedia nel mio cuore, non vidi amore, vidi critica.

Un argomento per volta (non intendo però rispondere anche a Zygmund Bauman, anche se l'intervento più lungo è il suo ... :lol: ) (intendo dire: io ci andrei piano con i blocchi di citazioni, perché queste si sostituiscono al dialogo tra le persone, cioè tra quello che esse ne hanno digerito. Come paragone: è molto più vitale una riduzione di un'opera per canto e pianoforte eseguita ed ascoltata dal vivo, piuttosto che la registrazione, il CD "perfetto" dell'opera stessa, provare per credere).

Riassumo (fin troppo) i criteri della musica dodecafonica. Allo scopo di evitare - e superare - la gravitazione della musica sulla tonica, cioè sulla nota principale e sull'accordo costruito su di essa, gravitazione che comunque in quasi tutta la musica popolare moderna permane (da Papaveri e Papere a M.Jackson o Lady Gaga, generalmente il centro gravitazionale, così come l'ultimo accordo, è quello di tonica), i compositori dodecafonici "decisero" questo inghippo tecnico: non avrebbero ripetuto ciascuna delle dodici note (i tasti bianchi e neri del pianoforte) se non dopo che gli altri undici suoni fossero stati eseguiti. In tal modo - artificioso - nessuno dei dodici avrebbe avuto la preminenza sugli altri, nessuno sarebbe stato più presente, e quindi più importante, degli altri. Si veniva così a scegliere una serie di dodici suoni, uno dopo l'altro, su cui costruire la composizione.
Tralascio le varianti compositive, le possibili sovrapposizioni armoniche ecc. ecc., per osservare solo come questa decisione "logica" appaia anche ai nostri occhi come mentale, antiartistica, artificiosa, cervellotica ecc., ma segnalo anche che essa fu certamente influenzata dal fatto che sempre, nella musica, alcune forme, alcune regole anche rigide dovettero essere rispettate: basti pensare alla Fuga, con le sue convenzioni assai strette, dalle quali, però, il materiale musicale trae, anche se l'ascoltatore ne è per lo più incosciente, grande compattezza e unità d'espressione.

Pertanto si può vedere storicamente il linguaggio dodecafonico come un momento in cui un eccesso di forma (forma/pensiero) irrigidì i contenuti, i suoni e la loro anima. Se vogliamo, un irrigidimento arimanico, conseguenza a sua volta dell'orgoglio luciferico che portò ad un tale escamotage per cui le leggi musicali non venivano più trovate, ma imposte dal "cervello" dell'uomo.

Penso che ora l'episodio citato possa venire ridimensionato. In campo artistico l'osservazione critica è uno dei momenti più significativi, in cui spesso si usano anche toni beffardi o eccessivi in modo da rendere chiari presupposti e giudizi. Però attenzione a non prenderli sempre troppo sul serio: le stesse voci tonanti contro questo e quello sono poi il più delle volte ben disponibili a riconoscere la validità artistica di certi risultati (e anche in musica dodecafonica ci sono delle buone cose, nonostante tutto). Però, in arte una certa partigianeria è addirittura indispensabile, pena la marmellata generale. Tanto più che - e mi ripeto con Pierfrancesco, che secondo me confonde i due piani - non si tratta affatto di odiare delle persone, ma di criticare delle opere.
Certo che vi era critica, PF, ma quella critica veniva proprio dall'amore, non dalla sua mancanza, che poi sarebbe l'indifferenza, la marmellata dove tutto "va bene".

Perché vi sono due modi di giudicare l'arte. Quello del maestro che aiuta l'allievo, e dunque gli mostra l'errore, o la carenza, e insieme lo incoraggia, ma poi lo critica di nuovo, poi lo aiuta e così via; e quello dello spettatore cui l'opera definitiva viene presentata e a cui viene chiesto un giudizio sul livello artistico: e lì si può anche sbagliare e correggersi in futuro, ma occorre scegliere, giudicare. Non è odio, è amore applicato. All'opera, non all'autore!

Poi, a tutto questo aggiungi la coscienza, che l'antroposofia ci dà, di quali siano i veri motivi spirituali alla base di certe scelte artistiche (che ne sa il mondo del dilemma impressionismo\arimanico vs espressionismo\luciferico ?) e forse in quel caso non si trattava di aristocratici pieni di disprezzo verso gli stolti, ma del trattamento che ad Arimane noi comunque siamo chiamati a riservare e della consapevolezza di questo alto livello di coscienza.

Tu stesso
Cita:
Che vogliamo fare, gli leviamo pure Masini, perché c'ha solo 4 note?
non puoi dire di aver presentato Masini a me, che non lo conosco e non ne so nulla, con particolare affetto e considerazione musicale, né che tu abbia agito in modo da stimolarmi a volerlo prima o poi conoscere ed ascoltare ... ;)


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 Oggetto del messaggio: Musica e poesia
Messaggio da leggereInviato: 05/08/2012, 8:34 

Iscritto il: 13/07/2011, 7:20
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Nel resoconto del terzo incontro con Gaetano Bonaiuto
http://antroponordest.altervista.org/viewtopic.php?f=61&t=129
si riferisce che
Cita:
la musica è la sola arte che creiamo a partire da dentro di noi
Vorrei chiedere a chi se la sente di illlustrare questo pensiero e se un’analoga considerazione può venir fatta sulla poesia.
Grazie.
(- A c.a. cortesi amministratori del forum
valutino le sigg. loro se lasciare qua o aprire una nuova discussione)


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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 06/08/2012, 14:35 
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Messaggi: 189
come spettatore alle recite dei drammi mistero di RS al Goetheanum, per molte fiate e ripetizioni voglio ricordare i tanto citati lucifero. e arim. nei loro suoni musicali-vocali espressi di proposito nelle recite dei drammi:

luc. viene rappresentato con suoni vocali quasi melodici e di toni alti, molto affascinanti ed energici, sinuosi e a volute circolari come nella sua raffigurazione scultorea. Potrebbe essere un suono vocale simile a qualche cantante femminile d'opera lirica senza i contenuti di umana narrazione e sentimento.

IL suono di voce di arim. invece è espresso nei drammi mistero con toni più bassi, pur molto energici e affascinanti ma meno melodici, a volte stridenti a volte simile al tenore, ampi e robusti spesso dolorosi e disperati. Il sillabare ha delle pause e prevale la consonante con tutte le sue angolature e incisioni.

Ribadisco la grande complessità della natura di questi due ex-dei impenetrabili, come a noi impenetrabile appare sovente tutto il mondo celeste. Nei drammi di RS non compare mai Dio in persona e questi due qualche rarissima volta a testimoniare che molto occulti sono ancora , molto se non del tutto.


Ultima modifica di liarem il 10/08/2012, 2:15, modificato 4 volte in totale.

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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 07/08/2012, 15:30 

Iscritto il: 12/09/2011, 8:29
Messaggi: 68
Località: Roma
ginogost ha scritto:
Certo che vi era critica, PF, ma quella critica veniva proprio dall'amore ...


Ciao Giuliano, io non voglio fare il paladino del rock e tantomeno della musica dodecafonica (di cui sono totalmente ignorante), ci tenevo solo ad evidenzare quello che potrebbe essere un vizio nascosto nella maniera di formulare il post. Ovvero l'etichettare un genere di musica come demoniaco, in base ad una verità presunta.
Nonostante io possa anche condividere la tua visione, questa tipologia di affermazione, secondo me dovrebbe essere modificata, con un atteggiamento che provi a creare un PONTE ta me e un amante del Rock.

Scusami ma non posso non citare la conclusione del libro di Bauman che ho finito di leggere or ora:

****************************************************
Zygmund Bauman - Amore liquido. (finale del libro)
Queste parole di Hannah Arendt possono - devono - essere lette come prolegomeni a tutti i futuri tentativi di arrestare la deriva opposta e avvicinare la storia all'ideale di «comunità umana». Riecheggiando Lessing, il suo eroe intellettuale, la Arendt afferma che «aprirsi agli altri» è «la precondizione dell'"umanità" in tutti i sensi della parola []. Il dialogo realmente umano differisce dal mero parlare o finanche dalla discussione in quanto è interamente permeato dal piacere per l'altra persona e per ciò che dice». Il grande pregio di Lessing, secondo la Arendt, era che «egli era contento dell'infinito numero di opinioni che sorgono quando gli uomini discutono gli affari di questo mondo».

Lessing «si rallegrava esattamente della cosa che ha sempre - o quanto meno sin dai tempi di Parmenide e Platone - angosciato i filosofi: che la verità, non appena viene pronunciata, si trasforma immediatamente in un'opinione tra le tante, viene contestata, riformulata, ridotta a un soggetto di discorso come tanti. La grandezza di Lessing non consiste meramente nella sua intuizione filosofica che non può esistere una sola verità nell'ambito del mondo umano, bensì nel suo accettare con allegria il fatto che la verità non esiste e che, dunque, l'infinito discorso tra gli uomini non cesserà mai fino a quando esisteranno gli uomini. Un'unica, assoluta verità... sarebbe stata la morte di tutte quelle dispute... e ciò avrebbe decretato la fine dell'umanità».

Il fatto che altri sono in disaccordo con noi (non hanno a cuore ciò che facciamo, ma altre cose che noi non facciamo; ritengono che lo stare insieme dell'umanità possa trarre vantaggio dal fatto di basarsi su regole diverse da quelle che noi consideriamo superiori; e soprattutto, dubitano della nostra rivendicazione di godere di un accesso privilegiato alla verità assoluta, e quindi anche di sapere per certo in quale punto la discussione deve terminare prima ancora che sia iniziata), "non è" un ostacolo sulla strada della comunità umana. Ma la nostra convinzione che le nostre opinioni "siano" tutta la verità, nient'altro che la verità e soprattutto l'unica verità esistente, e che le verità altrui, se diverse dalle nostre, non sono altro che «semplici opinioni» - quella sì che è un ostacolo.

[...]

"La Arendt conclude il suo saggio sulla «Umanità nei tempi bui» con una citazione da Lessing: «Jeder sage, was ihm Wahrheit dünkt, / und die Wahrheit selbst sei Gott empfohlen» (Che ogni uomo possa dire ciò che ritiene vero, / e rimettiamo la verità nelle mani di Dio)".

Il messaggio di Lessing/Arendt è quanto mai esplicito. Rimettere la verità nelle mani di Dio significa lasciare irrisolta la questione della verità (la questione del «chi ha ragione»). La verità può emergere solo al termine di un lungo dialogo, e in un vero dialogo (vale a dire, un dialogo che non sia un soliloquio mascherato); nessuno dei partecipanti è certo di sapere, o può sapere, quale possa essere tale termine (sempre che tale termine esista). Un parlatore, e anche un pensatore che pensa in «modalità parlante», non può, come osserva Franz Rosenzweig, «anticipare nulla; deve essere capace di aspettare perché dipende dal mondo dell'altro; ha bisogno di tempo».
[...]
Quello di verità è un concetto fortemente polemico. Nasce dal confronto tra convinzioni refrattarie alla riconciliazione e tra i rispettivi portavoce poco disposti al compromesso. Senza un tale confronto, l'idea di «verità» non sarebbe mai esistita. «Come andare avanti» sarebbe l'unica cosa che occorrerebbe sapere - e lo scenario in cui bisogna «andare avanti», a meno che non venga contestato e quindi reso «non familiare» e spogliato della sua «assiomaticità», tende a essere accompagnato da una chiara e precisa prescrizione per «andare avanti». Il contestare la "verità" è una risposta alla «dissonanza cognitiva», è indotto dall'impulso a svalutare e sminuire un'altra lettura dello scenario e/o un'altra ricetta di azione che possa gettare dubbi sulla propria lettura e sulla propria routine di azione. Tale propulsione aumenterà quanto più pesanti e difficili da rimuovere diventano gli ostacoli e le obiezioni. La posta in gioco nel contestare la verità, e lo scopo primario della sua autoaffermazione, è la prova che l'alleato/avversario ha torto e che quindi le sue obiezioni non sono valide e possono essere ignorate.

Dinanzi a una verità contestata, le chance di una «comunicazione non distorta», così come postulata da Jürgen Habermas, si riducono al minimo. Difficilmente i protagonisti resisteranno alla tentazione di ricorrere ad altri e più efficaci mezzi che non l'eleganza logica e la forza di persuasione delle proprie tesi. Piuttosto, faranno di tutto per rendere le tesi dell'avversario innocue, o ancora meglio inascoltabili, e meglio di ogni altra cosa, mai profferite, zittendo in qualche modo il loro propugnatore. L'unica tesi che ha maggiore possibilità di essere sostenuta è quella che squalifica del tutto il rivale in quanto partecipante-al-dialogo perché incapace, mentitore o comunque inaffidabile, malintenzionato o addirittura inferiore e non all'altezza.

ginogost ha scritto:
Dedico questo post a ... Complimenti per la coerenza e l'autonomia di pensiero!


Se si potesse scegliere, si preferirebbe rifiutarsi di conversare o uscire dal dibattito anziché sostenere la propria tesi. Accettare il dibattito significa, in ultima analisi, avallare indirettamente le credenziali del partner e promettere di accettare le regole e gli standard del discorso (contrariamente alla realtà) "lege artis" e "bona fide". Soprattutto, accettare il dibattito significa, come osservava Lessing, rimettere la verità nelle mani di Dio; in termini più terreni, significa rendere l'esito del dibattito ostaggio del destino. E' più sicuro, dunque, se possibile, dichiarare che gli avversari hanno torto a priori, e quindi subito provvedere a privarli della capacità di appellarsi contro il verdetto, anziché accettare il contenzioso e sottoporre la propria tesi a un esame incrociato e rischiare in tal modo che il verdetto sia annullato o ribaltato.

L'espediente di squalificare un avversario dal dibattito sulla verità è quasi sempre usato dal più forte; non tanto perché più malvagio quanto piuttosto perché dotato di maggiori risorse [ad esempio nell'altro forum sono stato più volte censurato, da coloro che avevano come risorsa la facoltà di ammainistratore]. Possiamo dire che la capacità di ignorare l'avversario e fare orecchie da mercante alla sua causa è l'unità di misura con cui calcolare volume e potenza relative delle risorse. Per converso, ritrattare il rifiuto al dibattito e accettare di negoziare la verità è sin troppo spesso considerato un segno di debolezza - una circostanza che rende la parte più forte (o che tale vuole dimostrarsi) ancor più riluttante ad abbandonare la sua posizione di rifiuto.

Il rifiuto dello stile rosenzweigiano di «pensiero parlato» ha un proprio impeto che si perpetua e si rafforza da sé. Dalla parte del più forte, il rifiuto del confronto può passare per un segno di «essere nel giusto», ma per la parte opposta il diniego del diritto di difendere la propria causa (che tale rifiuto comporta) e quindi il non vedersi riconosciuto il proprio diritto di essere ascoltato e preso nella dovuta considerazione in quanto portatore di diritti umani, costituiscono il massimo dell'offesa e dell'umiliazione - offese che non si possono accettare placidamente senza perdere la propria dignità umana.
[...]
"In una barzelletta irlandese, un passante a cui un automobilista chiede «Da qui come si arriva a Dublino?» risponde: «Se volessi andare a Dublino, non partirei da qui»".

Di fatto, si può facilmente immaginare un mondo più adatto per il viaggio verso la kantiana «unità universale del genere umano» che non il mondo in cui ci tocca oggi vivere, alla fine dell'era territorio/nazione/stato. Ma tale mondo alternativo non esiste, e quindi non c'è alcun altro sito dal quale iniziare il viaggio. E non iniziarlo ancora, o iniziarlo con ritardo "non è" - in questo unico caso al di là di ogni dubbio - "un'opzione possibile".
L'unità del genere umano postulata da Kant potrebbe riecheggiare, come egli suggeriva, lo scopo della Natura, ma di certo non sembra «storicamente determinata». La perdurante impossibilità di controllare la rete già oggi globale di reciproca dipendenza e «reciproca vulnerabilità assicurata» quasi certamente non aumenta la realizzazione di tale unità. Ciò tuttavia significa soltanto che in nessun altro momento la bramosa ricerca di un'umanità comune e l'azione pratica che da essa deriva, è stata così urgente e imperativa come adesso.
Nell'era della globalizzazione, la causa e la politica dell'umanità comune affrontano i passi più decisivi che abbiano mai dovuto compiere nel corso della loro lunga storia.
**********************************************************


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 Oggetto del messaggio: Re: E parliamo di questo rock e del resto che oggi si suona!
Messaggio da leggereInviato: 09/08/2012, 0:34 
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pierfrancesco ha scritto:

Ma la nostra convinzione che le nostre opinioni "siano" tutta la verità, nient'altro che la verità e soprattutto l'unica verità esistente, e che le verità altrui, se diverse dalle nostre, non sono altro che «semplici opinioni» - quella sì che è un ostacolo.

Caro Pierfrancesco, da dove sono mi è un po' complicato intervenire. Vorrà dire che rimanderò alcune precisazioni sulla "musica diabolica" per concentrarmi su un solo e diverso punto.

Ti scandalizzerò se dico che non mi interessa "avere opinioni?. Avere opinioni è un'attività legata alla nostra astralità, e questa attività ci dà la garanzia che almeno in gran parte stiamo sbagliando. Oggi tutti dicono "io penso che", ma non si tratta affatto di "pensare", cioè di quell'attività che noi "vogliamo", bensì di quel pensare non pensato che funziona un po' automaticamente, da solo, abbastanza superficialmente. Dalla lettura di Rudolf Steiner appare che la moralità abbisogna della conoscenza nonché del pensare che su tale conoscenza rifletta. Da tutto ciò dovrebbe risultare non una serie di "opinioni", bensì una unica conoscenza pregna di verità. Urlare la propria opinione-verità, come negli esempi che tu porti, non ha nulla a che vedere con quanto sopra.
Ricordo ancora quando Salvatore Colonna a un certo punto quasi scongiurò il suo gruppo di non dire più "io credo che..." ma "è così e così", per gli stessi motivi di cui sopra. Per poterlo fare, è necessario che si pensi e si stia zitti ben a lungo. Diciamo che gli antroposofi dovrebbero una buona volta dirsi non "che cosa penso di questo e quello" ma "qual è la realtà in questo o quel caso". E rifletterci o meditarci sù senza l'intervento della propria astralità, cosa difficile, ma possibile.
Ora, io cerco appunto di agire in questo modo. Se non ho "visto" chiaramente qualcosa di obiettivo, non giudico e anche cerco proprio di non dare opinioni. Per contro, posso esternare delle ipotesi, almeno sinché non ci vedo più chiaro. Per ricercare delle "verità" ci vuole tempo e un certo lavoro, però dopo spero proprio che tutto ciò non sia bollato di "opinione": certo che posso ancora sbagliarmi, ma sto esprimento il risultato di un lungo ricercare, non una immagine qualunque magari dovuta al mal di denti che mi affligge. Su questa base chiederei di discutere, non sulle "opinioni", che lascio volentieri ai dibattiti televisivi.
Grazie per la paziente costanza che ci offri e dimostri.

PS Il mio appunto verso il "picchiarello" non verte sulla verità o meno delle varie asserzioni, ma solo sull'incoerenza superficiale di chi non se la sente di contraddire le proprie autorità di riferimento dopo aver sbertucciato il nemico che diceva esattamente le stesse cose. Un comportamento che non è certo un modello di pensiero puro distaccato dall'astralità (e mi vengono in mente le antiche battute tipo: "contrordine compagni!", per chi se le ricorda).


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Commento file: «Obbedienza cieca pronta assoluta. – Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità: “Dovete dire tutto il vostro olio ai guerrafondai democristiani”, contiene un errore di stampa e pertanto va letta: “Dovete dire tutto il vostro odio ai guerrafondai americani”» – G. Guareschi –
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 Oggetto del messaggio: Qualche parola sulle percussioni
Messaggio da leggereInviato: 12/08/2012, 16:21 
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Iscritto il: 13/07/2011, 20:31
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Nella musica sino al XX secolo il ruolo delle percussioni è generalmente rimasto confinato in territori ben delimitati. La sorpresa del colpo di piatti, il rullìo dei tamburi militari (ad imitazione di quelli reali), i solenni colpi di timpano che funzionano come partizioni architettoniche dell'insieme, il triangolo che aggiunge ogni tanto uno sfavillìo di luce, ecc.
C'era un motivo ben preciso per questa scelta: le percussioni sono portatrici di rumore indistinto, non di suono preciso (con alcune eccezioni): essendo la musica arte di suoni, il rumore vi può entrare solo se "domato", un po' come noi siamo chiamati non a rifiutare Arimane, ma a domarlo, a vincerlo, a saperlo utilizzare. Il rumore in sé impoverisce la musica, ma, come il pepe, può servire a darle una certa intonazione. Se dovessimo indicare un colore corrispondente alle percussioni, il più adatto sarebbe il nero, cioè il tratto di disegno. E' noto che, classicamente, nella pittura il nero in sé non viene quasi mai utilizzato, ma eventualmente sostituito da combinazioni di colori, quali lacca di garanza + blu di prussia, le quali producono un "nero colorato". Vediamo così che al prudente uso delle percussioni nella musica "classica" si affianca e corrisponde un prudente utilizzo del nero in pittura.

Ma un ulteriore motivo per limitare l'uso delle percussioni è che il loro ruolo nell'insieme degli strumenti è assai delicato. Infatti, se gli agili legni e fiati corrispondono al pensare, se gli archi muovono apertamente il nostro sentire, se gli ottoni premono sulla nostra volontà cosciente, le percussioni agiscono sul nostro volere inconscio. Non per niente i tamburi militari servono per incitare alla battaglia individui magari riluttanti...
E' un ottimo esercizio di coscienza, mentre si ascolta un pezzo per esempio di Beethoven, rendersi conto di questa funzione delle percussioni. Ma...

Ma se questa azione inconscia si facesse pervasiva, onnipresente? Se essa riducesse di molto le possibilità di sfumature (del sentimento), se polarizzasse l'attenzione verso il ritmo, cioè verso quell'elemento della musica che è più affine al corpo fisico e più lontano dagli aspetti che nella musica creano ricchezza e varietà? Non sarebbe come se in pittura, invece che creare le forme attraverso i colori e le loro fumature, ogni forma venisse evidenziata all'estremo e bloccata con un grosso tratto nero, come di pennarello o di pennellessa ? Non si ridurrebbe così la possibilità di creare sfumature e sottigliezze, non si resterebbe ad un livello piuttosto elementare? Non corrisponderebbe tutto ciò in qualche modo ad una pittura quale quella di Keith Haring ?
Allegato:
Commento file: Keith Haring è maestro riconosciuto di un certo tipo di arte, che può pure avere le sue qualità, ma che difficilmente potremmo accostare alle sfumature di Leonardo o di Monet, o anche alla ricchezza di colori di Van Gogh. Già a 20 anni faceva uso spropositato, tra l' altro, di droga ed alcool.
Keith-Haring-Untitled--1985-190878.jpg
Keith-Haring-Untitled--1985-190878.jpg [ 16.34 KiB | Osservato 8232 volte ]


Eccoci dunque giunti al moderno rock, che delle percussioni non sembra proprio riuscire a fare a meno. Della loro valenza arimanica mi sembra di avere dato evidenza, dal colore nero al dominio esercitato sulla volontà (facendo perdere la coscienza di sé), dalla loro terrestrità estrema (meno suono e più rumore, cioè meno cristallinità e più "sporco") all'effetto droga (le ho paragonate al pepe, ma in effetti il loro eccesso porta all'effetto ketchup, cioè appiattimento di ogni gusto su quello dominante).
Questo dominio delle percussioni in effetti partì dal jazz, cioè da una musica le cui origini sono nell'anima africana trapiantata in America, e però soggetta ad una rapida degenerazione. Voglio anche ammettere che, come l'arte negra per Picasso, v. le Demoiselles d'Avignon
Allegato:
Commento file: le Demoiselles d'Avignon - in realtà il titolo originario sottolineava trattarsi di prostitute. Si vede l'influenza delle maschere negre
Picasso.jpg
Picasso.jpg [ 45.87 KiB | Osservato 8232 volte ]
anche la musica soul, gli spirituals ecc. avrebbero potuto contribuire allo sviluppo della musica moderna, ma i risultati sono stati ben miseri, e certo il rock è comunque fenomeno soprattutto commerciale e tendente all'abbassamento del livello musicale, come dimostra l'articolo citato all'inizio del presente topic. Il rumore non è stato domato anzi, come può testimoniare chiunque si avvicini ad una moderna discoteca ed ascolti anche a chilometri di distanza il terribile vibrare meccanico dei bassi, esso domina sino ad esser divenuto indispensabile, ed ha attirato nell'ambito del rumore anche la sezione dei bassi (e non solo, sia chiaro), la cui potenza elettronica non credo dover dimostrare quanto sia disumana, disumanizzante e dannosa - diabolica, ecco. La condizione ottimale per ascoltare tali musiche, il cui scopo è - e l'ho mostrato - annullare la coscienza, consiste nel drogarsi in modo da facilitarne l'azione. Ed è quanto avviene. Dispiace, peraltro, che anche certe sensibilità individuali non anodine, quali quella di un Tom Waits http://www.youtube.com/watch?v=9ZmqbcBs ... r_embedded alla fine non siano riuscite a far curvare il destino di questo ramo musicale.


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