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 Oggetto del messaggio: SPIEGARE LO SBADIGLIO
Messaggio da leggereInviato: 15/11/2011, 0:53 
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SPIEGARE LO SBADIGLIO: UNA RISPOSTA DALL’ANTROPOSOFIA
Dr. Giuliano Agostinetti

Psicologo, Psicoterapeuta a indirizzo Steineriano, Rieducatore Psicomotorio.

Un doveroso ringraziamento al dr. Stefano Pederiva per le acute osservazioni e per la grande disponibilità in più occasioni dimostratami.

Il 24 e 25 giugno 2010 si è tenuta a Parigi la prima Conferenza Internazionale sullo Sbadiglio (First International Conference on Yawning, o FICY), dedicata alla scienza che studia le origini e le cause dello sbadiglio, detta “chasmology”. In tale sede la medicina ufficiale ha cominciato ad interrogarsi sulla natura e sul significato di questo “gesto”, del quale a tutt’oggi non esiste una spiegazione accreditata ed univoca. Sono state analizzate varie caratteristiche dello sbadigliare, ponendosi domande sui rapporti con alcune patologie, sulla sua contagiosità, sulle sue funzioni nella filogenesi ecc., il tutto allo scopo di dare una spiegazione del sorgere di un atto apparentemente tanto semplice e naturale.

Nel presente articolo ogni riferimento è relativo a quanto del convegno è stato pubblicato in http://baillement.com/congress/ficy_index.html, sito a cui si rimanda per maggiori approfondimenti in merito. Non darò qui conto di tutte le ipotesi presentate. Ne citerò solo alcune, soprattutto facendo riferimento a dati sufficientemente accertati, in modo da inserire i dati analitici in una spiegazione più complessa, forse più completa, possibile anche alla luce dei contributi della scienza dello spirito. Si tenga presente che l’esperienza dello sbadiglio può riguardare l’antroposofo proprio in momenti importanti della sua vita spirituale, e cioè quando affronta la concentrazione o la meditazione.

Per prima cosa occorrerebbe, in sintonia con il Convegno, sconfessare il buon vecchio Ippocrate, primo teorizzatore (390 a.C.) della spiegazione tuttora corrente, secondo la quale lo sbadiglio servirebbe a dare ossigeno al cervello (anche se tale spiegazione non appare infine del tutto peregrina). Ma allora, perché mai si sbadiglia, e perché ciò accade non solo all’uomo, ma anche a cani, gatti, scimmie e tutti gli altri vertebrati, con l’inspiegata eccezione delle giraffe?

Che cosa è dunque lo sbadiglio: si tratta di un atto spontaneo che tutti conosciamo, involontario, ma solo fino a un certo punto, il cui tratto più caratteristico, ma non unico, sta nello spalancare le mascelle tendendo vari muscoli. Una volta innescato, esso ha un proprio corso, come un riflesso (v. colpo di tosse, starnuto, ecc.): ha un acme ed un successivo ritorno al normale stato base di tensione. Esso può essere accompagnato dal gesto dello stiramento, come spesso si vede fare anche da parte di cani o gatti domestici. Credo anzi che si potrebbe forse assimilare lo sbadiglio ad uno stiracchiamento della zona che comprende gola e mascelle, più qualche altro muscolo.

Chi sbadiglia: Giganti-Salzarulo riferiscono che persino feti di 12\14 settimane sbadigliano. Dal neonato al giovane, all’adulto al vecchio sbadiglia (Platek) il 60% degli umani (ma la mia impressione è che la cifra sia errata per difetto). Inoltre sbadigliano tutti i vertebrati, come si è visto: questa nozione è importante per considerare la cosa dal punto di vista antroposofico (in rapporto alla necessità o meno della presenza di un io individuale). Pare che gli adulti sbadiglino meno dei giovani: questi, a loro volta, raggiungerebbero un top di manifestazioni nel periodo della scuola primaria (e non si stenta a credervi …).

Quando si sbadiglia: riferito allo scorrere della giornata, si sbadiglia al risveglio così come quando si ha sonno la sera, e qui la ricerca pare non offrire grandi scoperte. Più interessante è rilevare le circostanze in cui si sbadiglia. Limitandoci al convegno, si sono evidenziate le seguenti situazioni: quando c’è un abbassamento della vigilanza (Guggisberg) (però la vigilanza non risulta affatto aumentare in seguito allo sbadiglio); e per contagio dallo sbadiglio di altri esseri, preferibilmente della stessa specie (Campbell-De Waal, sugli scimpanzé); Seuntjens, inoltre, oltre a teorizzare lo sbadiglio dovuto ad interesse sessuale, ci dà qui la Prima (un po’ arrischiata, a mio avviso) legge dello sbadiglio, e cioè: uno sbadiglia quando non può fare quello che vorrebbe, o se deve fare qualcosa che preferirebbe non fare. Ma siccome tutti ci troviamo nella condizione di “non essere liberi di”, e non per questo sbadigliamo di continuo da mane a sera, probabilmente l’autore voleva solo intendere che una tale condizione sia necessaria, ma non sufficiente.

La casistica. Vorrei ora elencare una piccola serie di situazioni facilmente verificabili: si sbadiglia, lo abbiamo visto, al risveglio; se si ha [i]sonno,[/i] o [i]fame[/i], o all’abbassarsi della [i]vigilanza[/i], come per riprendersi; per contagio vedendo o udendo altri sbadigliare (ma qui, chi è più attento si sarà accorto di aver talora subito la stessa influenza pur senza aver visto o udito o comunque consciamente percepito proprio nulla dall’altro, cioè per semplice vicinanza); e ancora per noia (cioè mancanza di stimoli: ma è davvero la stessa cosa?), quando ci si rilassa, per sonnolenza dovuta a digestione difficile, per ansia (si citano gli sbadigli dei paracadutisti prima del lancio), come reazione “istintiva” ad una lunga, “eccessiva” attenzione (ascoltando un altro parlare, o meditando), e anche quando non si capisce il senso di ciò cui si presta attenzione (il che ha a che fare sia con la noia che con l’eccesso di attenzione).Questi sono i casi che ho trovato io, ed è naturalmente possibile aggiungerne altri (non terrò qui in considerazione lo sbadiglio autoindotto con cui riequilibriamo la pressione nelle orecchie, come, caso tipico, salendo in montagna: atto volontario che, comunque, talora risulta assai difficile, o addirittura impossibile a suscitarsi).

Quali effetti si ottengono? Gallup e Gallup jr. hanno osservato che lo sbadiglio riduce la temperatura del cervello e del corpo, e ne deducono che si tratti di un meccanismo di termoregolazione usato nell’adattamento della specie all’ambiente: il cervello in ipertermia viene raffreddato. Come controprova, se vengono assunte sostanze aventi la caratteristica di riscaldare il cervello allora vengono prodotti sbadigli; inoltre patologie in cui si osserva una tendenza all’ipertermia del cervello, quali sclerosi multipla ed epilessia, mostrano una tendenza verso l’eccesso di sbadigli.

Di conseguenza, se l’ipetermia corticale provocasse sempre e comunque lo sbadiglio, allora essa dovrebbe essere osservabile in tutte le situazioni elencate nel paragrafo precedente (sonno, risveglio, noia ecc.). Ciò però non basta per poterla considerare quale unica vera causa dello sbadigliare; potrebbe trattarsi di una condizione necessaria ma non sufficiente. In tal caso non saremmo così lontani dalla vecchia spiegazione di Ippocrate. E se pure si volesse ammettere l’ipotesi che l’ipetermia del cervello fosse di per sé causa unica e sufficiente dello sbadiglio, resta da collegare tutto ciò con gli aspetti spirituali, o quantomeno psichici, che ne sono all’origine, salvo optare per una visione puramente meccanica – o meccanicistica. Per logica, cioè, la prima legge di Seuntjens (uno sbadiglia quando non può fare quello che vorrebbe ecc.) comporterebbe che, se non posso fare quanto voglio, o se vengo obbligato a quanto non voglio, il mio cervello, come effetto nel piano fisico, va in ipertermia, e soprattutto ci va ogni volta. Altrimenti non si tratterebbe di una legge, ma, al massimo, di una generica tendenza. Sentiamo che in tutto ciò, in certo senso, sembra mancare una visione realmente unificante.

Effetto contagio. La sanzione sociale dello sbadiglio.

Nella cultura occidentale chi sbadiglia dovrebbe porsi una mano davanti alla bocca e così nasconderla: perché? Chiedendomelo, avevo osservato che si possono presupporre varie concause, come considerare il gesto troppo incontrollato, presumibile segno di debolezza (competizione sociale) o troppo libero (repressione sociale), o magari brutto. Aggiungo ancora: si può pensare che non sia educato mostrare che ci si sta annoiando. Non tutti gli sbadigli sono certo causati da noia, ma l’equivoco è sempre in agguato e comunque non desideriamo affatto che l’altro possa ritenere, a torto o a ragione, di essere per noi fonte di noia. Ma certo il motivo primo sta nel voler evitare l’effetto di contagio, per rispetto dell’altrui autonomia. Essendo lo sbadiglio un segnale di possibile prossimo congedo, in un gruppo esso sarà appannaggio o dei meno influenti, come i bambini, che non interferiscono direttamente nelle scelte collettive, ovvero delle persone più autorevoli, cui, al contrario, viene riconosciuta la facoltà di “sciogliere la seduta” (qualcosa di simile avviene nei primati, dove una serie di sbadigli suggella la fine di una lite). Chi sta nel mezzo, diciamo così, si trova invece obbligato a reprimere il proprio sbadiglio.

Si possono certo trovare altre motivazioni, come vedremo in seguito: in ogni caso, resta il fatto che la società tende a tenere lo sbadiglio sotto controllo, tendenzialmente disapprovandolo. Addirittura ci si vergogna di sbadigliare. E dunque abbiamo che in un gruppo lo sbadiglio viene gestito socialmente come un segnale il cui senso individuale non coincide se non in parte con il significato sociale. Poiché, tuttavia, anche il neonato e addirittura il feto sbadigliano, se ne ricava che il gruppo (la società) aggiunge un dato significato relazionale ad un gesto la cui origine giace sul piano individuale, espressione, per così dire, solipsistica. In ciò lo sbadiglio mostra analogie con quanto accade, per esempio, con il sorriso, il quale nasce dal senso di sazietà del neonato, come un “basta” espresso fisicamente, ma nell’elaborazione sociale diviene altro, più precisamente una proposta di contatto senza che vengano superati i rispettivi limiti [ v. G. Agostinetti, Riso e Pianto, Arcobaleno, Mira 1994] .

Abbiamo così toccato il tema della contagiosità. Senju comunica che, nell’autismo, tale funzione appare assai disturbata anche riguardo allo sbadiglio. Egli afferma che il meccanismo del contagio è legato all’empatia: questa, nell’autismo, viene grandemente compromessa. Oltre a Campbell-De Waal e ai loro studi sugli scimpanzé, già citati, appare notevole che il collegamento con l’attività dei neuroni-specchio venga ammesso dall’uno e negato dall’altro sostenitore della stessa tesi, quella, cioè, che il contagio sia legato all’empatia. Se infatti Cooper mostra prove, ottenute tramite l’uso dell’elettroencefalogramma, di un coinvolgimento della rete di neuroni-specchio, Nahab, nell’individuare le aree cerebrali interessate, sostiene che il contagio possa essere indipendente dalla medesima rete. La cosa presenta interesse in riferimento al fatto che i neuroni specchio verrebbero, secondo i più, attivati quasi solo in presenza di azione di cui si comprende l’intenzionalità, o la finalità: ma, appunto, questa non è, secondo altri, necessaria. Si può anticipare che qui l’antroposofia potrebbe discriminare tra un’azione nel campo del corpo astrale (intenzionale) ovvero nel campo dell’eterico (involontaria).

Il lettore si sentirà ormai interessato a conoscere quali siano le cause, o scopi, sinora ipotizzati per lo sbadiglio all’interno del convegno (anche se l’uso del concetto di scopo in questo caso è senz’altro improprio: la natura, considerata impersonalmente nell’approccio della moderna scienza, non può affatto mostrare allo scienziato degli scopi, bensì dei “funzionamenti”). Si va da Platek per cui si tratterebbe di un antico processo evolutivo che in certe specie generò un più alto livello di riconoscimento sociale, a Tassinari, per cui si tratta di un frammento di un comportamento geneticamente determinato, a Walusinski per il quale esso è la manifestazione esteriore della stimolazione tonica del cortex, associata a specifici neurotrasmettitori e collegabile con gli stati ipnotici, ai già citati Gallup (meccanismo di termoregolazione), sino all’ipotesi che lo sbadiglio abbia un ruolo nello sviluppo di muscoli e funzioni della mascella. Si rimane un po’ sconcertati. L’applicazione di un pensiero solo intellettuale, deterministico, al vivente mostra, qui come altrove, i suoi limiti.

Nell’ottica della scienza dello spirito

Osserviamo ora la cosa dal punto di vista della scienza dello spirito. Lo sbadiglio compare sia quando si abbia sonnolenza, cioè prima di dormire, che al risveglio. Non parrebbe questa una contraddizione? Tuttavia, che avviene con l’arrivo del sonno? Avviene che il corpo astrale e l’io si allontanano dal corpo fisico ed eterico. Al risveglio avviene il contrario. Le tensioni muscolari associate allo sbadiglio nel risvegliarsi possono dunque essere collegate con il bisogno di rinforzare o velocizzare il processo: tali tensioni richiamano infatti il corpo astrale, permettendogli di tornare ad operare su corpo eterico e corpo fisico. Viceversa, quando si sbadiglia per sonno non si fa altro, verosimilmente, che cercare di trattenere ancora per un po’ il corpo astrale, il quale sarebbe invece spinto a sgusciarsene via, abbandonando i due corpi anzidetti.

Ma “chi” opera queste “scelte”? Ciò va riferito alla domanda: è l’astrale che “decide” di andarsene di notte, oppure è il corpo eterico che, con un impulso risanatore, lo allontana, assieme all’io? Si può ipotizzare che la prima spinta venga dal corpo eterico, che ha bisogno del suo “restauro” notturno e pertanto preme per allontanare l’astrale, come fa ogni sera. E che l’occasionale spinta opposta venga dall’astrale, magari supportato dalla volontà dell’io, che “decide” per es. di rimanere sveglio ancora un po’. Al mattino, per contro, sia l’io, che vuol tornare nel mondo, che il corpo eterico, che viene richiesto di una risposta adeguata, collaborano nelle tensioni dello sbadiglio per richiamare in giù l’astrale, il quale può trovarsi in ritardo o addirittura in difficoltà. Da ciò viene che vi è una certa differenza tra lo sbadiglio serale e quello del mattino, e questo ha un riscontro nella ricerca di Giganti-Salzarolo, quando si osserva che è soprattutto di mattina che l’adulto sbadiglia meno del giovane, e che la frequenza di sbadigli non è, al mattino, collegata con il bisogno di sonno. La differenza allora consisterebbe in ciò, che la mattina il corpo eterico collabora al richiamo, mentre di sera la sua spinta va verso l’espulsione del corpo astrale. Il quale, in ambedue i casi, mostra una certa inerzia, una volontà di rimanere nella condizione precedente.

Ma noi abbiamo poco fa elencato una decina di situazioni in cui accade di sbadigliare. Occorrerà che la spiegazione data (in sintesi: il corpo astrale, in stato di leggera sconnessione, viene richiamato verso il fisico) risulti valida in tutti i casi. Vediamo.

Quando ascolto un’altra persona parlare, il mio corpo astrale va verso di lui, tende tutto verso quella persona. Dunque esce da me, ed io lo trattengo con un processo, opposto, attenzionale (altrimenti mi addormenterei). Se però l’attenzione viene a mancare, io perdo il mio astrale e, di conseguenza, mi addormento. In questo caso non è più il corpo eterico che espelle l’astrale, bensì è l’io stesso che lo estende ed avvicina al parlante, per soddisfare un suo interesse. La spinta del corpo eterico è solo conseguenza passiva di questa espansione, in quanto gli viene lasciato uno “spazio” che esso tende a riempire, ed allora sopraggiunge lo sbadiglio, eccetera. Questo sbadiglio ha una sua particolare caratteristica, un suo colorito, una specie di verticalità. L’io vuole essere con l’astrale sia qui che là: essendosi sbilanciato verso fuori, nell’ascolto, il corpo astrale si re-impianta, per così dire, sul corpo fisico tramite lo sbadiglio.

Altra situazione comune è quella della persona annoiata. Nel richiamare a sé l’astrale con lo sbadiglio, essa rivela di volersi estraniare, per esempio, da un interlocutore privo di interesse. La sottile differenza con il caso precedente sta nell’intenzione dell’io: là io volevo essere, con l’astrale, sia presso colui che ascoltavo che entro me stesso; ora invece, provando noia, vorrei essere solo dentro me stesso, anche se, per obbligo sociale, occorre che io presti ascolto all’altro. Ma poiché le “intenzioni” dell’io non sono certo facili a decifrare con esattezza, mentre i movimenti dell’astralità sono ben più visibili ed evidenziati, possono allora sorgere dei fraintendimenti con conseguente imbarazzo sociale: “Ti assicuro, non mi sto annoiando” “No, credi, non ho affatto sonno …!”

Il caso dell’ansia pare più semplice da spiegare, pur se meno conosciuto, o considerato. Nel caso del paracadutista, di fronte all’ardua prova egli ha bisogno di richiamare in sé tutte le sue facoltà, a partire dalla sua astralità. Ed anche il caso della cattiva digestione parrebbe quasi ovvio: qui è il corpo eterico che avrebbe bisogno di essere lasciato tranquillo, per così dire, a lavorare in pace, senza le tensioni legate al corpo astrale. In quanto l’io spinge per rimanere sveglio, sia pure, magari, per una forma di inerzia, la situazione è simile a quella della persona assonnata. Che infatti magari può, a quel punto, concedersi una pennichella, versione casalinga del coma farmaceutico …

Il caso della meditazione mostra come sia “vizio” diffuso il disperdersi nel mondo passivamente, lasciandosi continuamente “risvegliare” dagli stimoli esteriori, cui viene demandato un compito (il controllo del corpo astrale) che sarebbe invece proprio dell’io. Cessando questi stimoli, il meditante deve lottare contro il sonno, e richiama il corpo astrale attivando lo stimolo dentro di sé. Si noti la sottile differenza con la noia: essa è dovuta a mancanza di interesse ovvero a carenza di stimoli; nella meditazione solo quest’ultima situazione, almeno inizialmente, viene ad occorrere, perché l’io si attiva, e come ! Inoltre, muta la qualità dell’azione sul corpo astrale, il quale nella situazione di noia viene soltanto richiamato, mentre nel meditare viene controllato e plasmato. Ne deriva che, quantomeno, nel meditare possiamo guardare ai nostri sbadigli con un occhio più benevolo: essi denunciano le nostre carenze, ma servono, allo stesso tempo, a sostenere gli interessi dell’io. Tra l’altro, qui appare chiaro perché la forza dell’io si manifesti precipuamente nel saper attendere. Poiché nella meditazione si può dire che rallentiamo il nostro pulsare attenzionale, allungando i periodi, e senza rispondere a stimoli esterni, ecco che essa ci appare come un’attesa senza oggetto, un continuo tornare al punto, come percorrendo il perimetro di una margherita, inspirando ed espellendo il mondo rivolti verso dentro invece che verso fuori. Nel far ciò l’astrale, venendo a sua volta plasmato ed allenato a nuovi compiti, non può più tenere a bada l’eterico: questo compito viene allora assunto direttamente dall’io, che vi manifesta la sua forza. Pertanto, chi medita si trova a mettere sotto il suo controllo non solo il corpo astrale, ma anche l’eterico e il fisico.

Alcuni autori, per tornare brevemente al convegno, si sono dilungati sullo sbadiglio quale risposta ad una proposta sessuale. Il gesto allora non sarebbe affatto una manifestazione di disinteresse, noia o stanchezza: sarebbe piuttosto “la spia di tutta una serie di emozioni che spaziano dall’interesse, allo stress, fino al desiderio sessuale”. Mi sembra qui che si potrebbero utilmente analizzare due situazioni opposte, la prima in cui il sesso produce ansia (stress), e su questo punto v. quanto detto poco fa, con l’esempio del paracadutista. La seconda sarebbe invece quella in cui il soggetto vorrebbe allontanarsi da una situazione “falsata”, in cui si è invasi dal mondo, dispersi, per così dire, per tornare invece a sé stessi, al percepirsi meglio e senza distrazioni. Per tale via è possibile sentirsi poi più “presenti” nel rapporto affettivo/sessuale. Qualcosa di simile alla situazione in cui ci si rilassa (“finalmente!”) ed allora si può anche sbadigliare, e richiamare a noi stessi la nostra astralità dispersa tra mille oggetti e mille stimoli, spesso poco opportuni.

Qualcosa resta pure da dire sulla contagiosità dello sbadiglio. Abbiamo visto che persino il feto sbadiglia, e osservato che il gesto estremo con cui l’astrale vorrebbe rimanere in contatto con l’eterico diventa, se valutato dall’esterno, un segnale accolto da una certa riprovazione sociale, tollerato nei soggetti posti in una condizione di debolezza “scusabile”, ma anche in quelli più forti, dove assume invece il valore di una indicazione valida per tutti.
Per comprendere più profondamente l’esistenza di un pregiudizio negativo verso lo sbadiglio, occorre aver chiaro che in tale atto il corpo eterico tende a sopraffare il corpo astrale. Il corpo eterico è per sua natura un “duplicatore”, un imitatore, come nel fenomeno della moltiplicazione cellulare: da ciò la contagiosità dello sbadiglio. Poiché però la regola corretta per l’uomo, ancorché non sempre coscientemente percepita, è che avvenga il contrario, cioè che in stato di veglia il corpo animico tenga sotto controllo l’eterico, su questa base, più o meno inconsciamente, sorge la riprovazione sociale – pur se, a dire il vero, abbastanza mite e tendenzialmente tollerante. Con la nostra attenzione siamo allora chiamati ad evitare un tale contagio sul piano eterico.

Se il corpo astrale prevale sull’io abbiamo l’oblio; se l’eterico ha la meglio sull’astrale ne sorge il sonno; se il fisico vince sull’eterico allora viene la morte. La regola sana è dunque che l’arto superiore sappia dominare quello inferiore, e lo sbadiglio mostra un primo cedimento in questa struttura gerarchica. Allo stesso modo il lapsus mostra un cedimento dell’io nei confronti dell’astralità, e parimenti il formicolio degli arti segnala che vi è un distacco tra eterico e fisico. Non sembri dunque banale definire lo sbadiglio come un atto sognante del corpo, né veramente cosciente, né del tutto involontario, o riflesso, avente una funzione correttiva.

Comunicare con la scienza ufficiale

Si è vista l’ipotesi dei Gallup, che mette in relazione lo sbadigliare con la necessità di termoregolazione del cervello. A me sembra quella che meglio rispecchia, sul piano fisico, ciò che ho descritto come ipotesi di spiegazione scientifico spirituale. Si può legittimamente supporre che, fermo restando il “conflitto” tra astrale ed eterico, l’allontanarsi del corpo astrale lasci sempre maggiori spazi d’azione al corpo eterico, e ciò porti a riscaldare il cervello. A questo proposito, l’antroposofo sa che di notte avviene una inversione nel prevalere dell’attività tra testa e resto del corpo, e se di giorno è giusto che la mente sia fredda e il corpo (con il cuore) caldo, di notte, appunto, le parti si rovesciano. Lo sbadiglio allora interromperebbe provvisoriamente un processo già attivato, producendo uno stress che, ovviamente, non può protrarsi all’infinito. La percezione di un surriscaldamento darebbe un segnale, e lo sbadiglio sarebbe la risposta. Però le cause del riscaldamento sono, appunto, altrove, cioè nell’eccesso o nei disequilibri nell’attività del corpo astrale.

Sarebbe interessante poter comunicare tutto ciò in un linguaggio che risultasse comprensibile anche allo scienziato “tradizionale”, non per sfiducia verso l’antroposofia, ma solo per vedere se sia mai possibile un rapporto corretto tra linguaggi e modalità di conoscenza certamente differenti. Trattando del riso e del pianto (op. cit.) miravo a suo tempo ad un tale risultato sottolineando le analogie esistenti tra concetti quali libido, energia, forza vitale, oggi più genericamente accettati di quanto non lo fossero ai tempi di Steiner, e quello di corpo eterico, o delle forze formative. Ugualmente dicasi per corpo astrale, da una parte, ed energie psichiche ed emotività dall’altra. Pur rendendomi conto della grossolanità di tali approssimazioni, ritenevo e ritengo che un rifiuto preconcetto non sia mai preferibile ad una comunicazione magari non priva di imprecisioni.

Allora sarebbe possibile parlare, al medico o allo psicologo, dello sbadiglio nel modo che segue. Si consideri il funzionamento dell’attenzione, quale a suo tempo lo indicò Silvio Ceccato, filosofo e cibernetico della mente, come un processo pulsante (circa 8 pulsazioni ogni 5 secondi). Ceccato parla di un “sollevarsi” dell’attenzione seguito da un suo “appoggiarsi”, e questo si ripete ad ogni pulsazione. Ma se consideriamo come l’attenzione ci permetta di “ap-prendere”, lecitamente possiamo allora paragonare il suo funzionamento a quello di una mano che prima si spalanca tendendosi (cioè “sollevandosi”), poi si rinserra a pugno (cioè “appoggiandosi”). Il riscaldamento del cervello deriverebbe allora dal ripetersi di questa attività pulsante, ma aumenterebbe di molto allorché la “mano” rimanesse aperta e tesa per uno o più periodi che fossero innaturalmente più lunghi dei normali cinque ottavi di secondo. Il fatto di non poter poggiare l’attenzione, di tenerla sospesa per un tempo eccessivo, produce un disagio, una fatica: bastano pochi secondi. A tale disagio corrisponderebbe un riscaldamento maggiorato rispetto alla situazione media di veglia. Un tale riscaldamento lo troviamo certo presente sia negli stati di noia che nella mancata o insufficiente comprensione, o ancora nella difficoltà di collegare con la mente, a causa di sonno o stanchezza, concetti o proprietà. È in questa situazione che ritengo si attivi l’atto correttore dello sbadiglio, a regolare la termoregolazione del cervello, raffreddandolo.

Tanto più che nelle fasi REM del sonno vari fenomeni organici portano ad un riscaldamento degli organi periferici, con conseguente raffreddamento corticale: tali fasi mostrano in ciò una funzione analoga a quella dello sbadiglio. Ed è pur vero che esiste una differenza tra questo calore inconsciamente attivato e quello direttamente sollecitato dall’io, per esempio quando uno si sforza di rimanere sveglio. Se un compito – e ciò vale parzialmente anche per l’animale – tiene vivacemente impegnata l’attenzione, il cortex si riscalda: occorrerebbe raffreddarlo, ma l’io interviene, attiva la volontà e il raffreddamento viene posposto. Però di notte la situazione si inverte, e nelle fasi REM ritengo che la cosa si giochi a parti invertite, che l’effetto divenga causa, e che dunque a partire da un certo riavvicinarsi del corpo astrale il corpo fisico entri in tensione sotto la guida, insufficiente e talora scomposta, del corpo eterico. Con lo sbadiglio si richiama l’astrale per rimanere svegli, nella fase REM, viceversa, è il riavvicinarsi dell’astrale che causa alcuni comportamenti di “simil-veglia”.

Possiamo trovare una facile conferma del meccanismo di termoregolazione come qui specificato nella difficoltà che solitamente i più trovano a seguire un discorso “noioso”, formato da frasi lunghe, le quali comportano che una parte dell’attenzione rimanga in tensione, sospesa, in modo da mantenere presente il già detto (ciò che di solito viene definito come funzione riassuntiva della memoria, ma in realtà non si limita a questo: infatti è una funzione che aiuta a costruire unità di una certa lunghezza, potremmo chiamarla costitutivo-riassuntiva, e rapportarla al senso del pensiero e del linguaggio). Un’altra conferma si trova nel fatto che molti rifiutano la musica classica come noiosa, proprio perché le sue frasi musicali non si risolvono in brevi incisi, ma possono estendersi, in modo ammirevole, come delle vere e proprie meditazioni prolungate. In siffatte situazioni sempre vedremo gli sbadigli abbondare. Il superamento wagneriano della vecchia opera lirica, composta di stacchi precisi e ben separati, in favore di un continuum nel quale l’ascoltatore è forzato a divenire attivo nel senso anzidetto, è un altro esempio di un operare che va verso la complessità, gli allungamenti. Ma allora l’ascoltatore poco ben disposto ci si segnalerà per il numero spropositato di sbadigli …

Si sarà notato che è possibile leggere di sera un articolo di poco conto (notizie sportive, cronaca,,,) senza che sorga alcuno sbadiglio: ma appena si prende un libro più impegnativo, nel quale alla funzione “dell’aprire e del chiudere” si sommi anche quella del “ritenere” (funzione mnemonica), ecco sorgere gli sbadigli.[NOTA: Si noti che in questo caso è proprio il testo più noioso quello che NON induce allo sbadiglio! Dunque può spingere allo sbadiglio sia il troppo impegno attenzionale, magari anche con l’attivazione della memoria riassuntiva, se è presente stanchezza; sia l’assenza di risultati, la noia, se vi è invece energia sufficiente per l’attenzione]
Allo stesso modo un’automobile dal motore surriscaldato può percorrere ancora molti chilometri in pianura o discesa, ma ben poca strada in forte salita, pena gravi danni.

Lo sbadiglio nasce dunque da un disagio della psiche, che sente venir meno lo stato di normale attenzione vigilante e cerca, attraverso una certa tensione fisica, di ottenere un’ulteriore dose di at-tenzione (= tensione-ad). Se la coscienza vuole posticipare il momento del cedimento, allora il sonno viene rimandato ed il segnale caratteristico a livello fisico, cioè un livello limite di surriscaldamento cerebrale, porta allo sbadiglio, che, regolando la situazione termica, permette di continuare nello stato di veglia. Al mattino, come detto, la situazione è diversa in questo, che la tensione fisica produce ancora attenzione, ora però sostenuta sia dalla volontà cosciente, sia dalla condizione di rinnovata vitalità conseguente al riposo. Non si tratta più di posticipare (impedire) un addormentamento, bensì di anticipare (facilitare) un risveglio.

La psiche viene normalmente stimolata da segnali esterni, o, viceversa, da uno sforzo interiore di volontà e autocontrollo. Mancando gli stimoli esterni, l’apparato psichico può trovarsi allontanato dal corpo, la presa dell’attenzione si allenta. Si può allora sbadigliare per noia: il corpo ci richiama alla sua esistenza (infatti, si può sbadigliare anche causa prolungata immobilità). Lo sbadiglio assume allora una funzione di stimolo attenzionale. In generale, potremmo dire che esso “tira in basso e in dentro” ciò che stava allontanandosi verso l’alto e verso fuori, e lo fa attraverso un meccanismo di tensione che ad un certo punto segue uno schema abbastanza preciso, quasi come un riflesso.

In conclusione

Poiché lo sbadiglio appare anche nel neonato e persino nel feto, nonché negli animali superiori a sangue caldo, occorre interrogarsi sulla sua primitiva funzione. Sembra corretto supporre che esso consista inizialmente in un richiamo della vita psico-emotiva verso l’interno, verso il fisico, e sia dipendente, sul piano materiale, da uno squilibrio nella termoregolazione del cervello, a sua volta dovuto al modificarsi del ritmo attenzionale e delle unità di questo ritmo rispetto ad una media. Diviene contagioso perché, per così dire, al deporre delle armi da parte altrui corrisponde una simmetrica possibilità di abbandono da parte mia: esso appare dunque socialmente come un segnale di commiato. Questo contagio passa attraverso i meccanismi imitativi del corpo eterico, e si rivela spazialmente entro l’ambito dei cosiddetti neuroni specchio, in un’area che si situa dunque tra il corpo astrale e il corpo eterico, un po’ come il sogno, o la sudorazione.

Tornando alla dimensione antroposofica

Rimane da chiarire un aspetto interessante. Ci si può chiedere se il surriscaldamento di cui s’è detto derivi dall’azione stessa della tensione che viene applicata nel prolungare gli stati d’attenzione oltre i loro limiti abituali (in questo caso si tratterebbe del calore stesso dell’io); ovvero se esso provenga, come lasciavo intendere in precedenza, dall’instaurarsi di una inversione nei rapporti tra testa e resto del corpo, quale avviene di regola nel sonno, inversione dovuta al fatto che l’astrale inizia a non tenere più a bada l’eterico. Il surriscaldamento sarebbe allora effetto diretto dell’attività del corpo eterico che inizia a sfuggire, diciamo così, al controllo dell’astrale. In altre parole, si tratta di capire se l’aumento del riscaldamento derivi dall’attività dell’io, che non vuole che l’astrale ceda e si disancori, e pertanto aumenta la tensione, ipotesi questa che meglio si sposa con la visione scientifica odierna; o da quella del corpo eterico, che si trova meno tenuto a freno causa l’esaurirsi di forze dell’astrale, ed io propenderei per questa seconda spiegazione. O ancora, al limite, dalla combinazione dei due fatti. A questo problema potrebbe collegarsi l’osservazione che durante lo sbadiglio viene esercitata una pressione dal basso (dal palato) verso la zona superiore, ove risiede il cervello, creandovi tensione.
Inutile, quanto ovvio, sottolineare come l’uso di concetti caratteristici della scienza spirituale, quali corpo eterico, corpo astrale, ecc., semplifichi la spiegazione e la comunicazione dei fatti. Chiedo dunque perdono se quelle parti dell’articolo che provano a rinunciare a tali concetti risultano forse più complicate del necessario.

Luglio 2011


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