Ecco un paragone tra Steiner e Gentile riguardante l'indipendenza del pensiero dal suo oggetto, oggetto osservato. Penso che si integrino bene a vicenda, fino a qui, tutti daccordo.
nella Filosofia dell'arte G.Gentile ha scritto:
Questo fatto, che non è un semplice fatto e che ha la singolarità di sottrarsi a ogni discussione è questo: che noi pensiamo; noi, dico, che cerchiamo ora il principio da cui si può prender le mosse; noi ogni volta che, presenti a noi stessi, ci proponiamo un qualsiasi problema. E' un fatto che pensiamo; ma laddove ogni altro fatto suppone il nostro pensiero che lo apprende e lo afferma, e questo nostro pensiero è affatto diverso dal fatto stesso, tanto che può sussistere indipendentemente dal fatto stesso, ossia dal suo accadere o no; questo fatto del nostro pensiero non suppone altro che se stesso. Il che significa che, se ogni altro fatto non può essere né prodotto né annientato dal nostro pensare, il pensiero nostro c' è in quanto noi pensiamo; ed è prodotto perciò di se medesimo.
Tutto ciò è più chiaro della luce del sole. E non è tutto. L'essere ogni altro fatto qualsiasi diverso dal pensiero che lo apprende, e il pensiero perciò indipendente da esso, importa che il fatto si rappresenta al pensiero come contingente: c'è perché c'è, ma poteva anche non esserci, e il pensiero ci sarebbe stato lo stesso. L'essere invece il fatto del pensiero un prodotto del nostro pensare, importa che questo, a differenza di tutti gli altri fatti, non è un fatto contingente; cioè non è propriamente un fatto. Non è contingente, perché il pensiero non può esserci senza questo suo prodotto, cioè il fatto che si pensi. Il pensiero è un fatto, se così vuol dirsi, ma necessario: un fatto che è fare, lo stesso fare del pensiero da cui è prodotto. E perché propriamente fare, non fatto, conviene che si denomini piuttosto atto.
nella FdL Steiner ha scritto:
Mentre l'osservare oggetti e processi e il pensare attorno ad essi sono condizioni quotidiane che riempiono continuamente la mia vita, l'osservare il mio pensare è una specie di condizione eccezionale. Di questo fatto bisogna tenere adeguatamente conto, quando si tratta di stabilire il rapporto fra il pensare e tutti gli oggetti dell'osservazione. Bisogna che sia ben chiaro che, quando osserviamo il nostro pensare, applichiamo ad esso un procedimento che costituisce la condizione normale per l'osservazione di tutto il restante contenuto del mondo, ma che in questa condizione normale non avviene mai riguardo al nostro pensare stesso.
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La prima osservazione che facciamo attorno al pensare, è quindi
questa: ch'esso è l'elemento inosservato della vita ordinaria del nostro
spirito.
La ragione per cui, nella vita quotidiana dello spirito, non osserviamo il nostro pensare, sta nel suo essere un prodotto della nostra propria attività. Ciò che non produco io stesso, si presenta come qualcosa di oggettivo nel campo della mia osservazione. Io vedo me di fronte a qualcosa che è sorto senza il mio intervento, che viene verso di me, ch'io devo prendere come il presupposto del mio pensare. Nel tempo ch'io penso attorno a un oggetto, io ne sono assorbito, il mio sguardo è ad esso rivolto. In questa occupazione consiste la riflessione pensante. Non sulla mia attività, ma sull'oggetto di quest'attività è diretta
la mia attenzione. In altre parole, mentre penso, non vedo il mio pensare ch'io stesso produco, ma l'oggetto del pensare, ch'io non produco.