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 Oggetto del messaggio: LA LINGUA E I CORPI DEL DENARO
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LA LINGUA E I CORPI DEL DENARO dicembre 2007
pubblicato su Rivista ANTROPOSOFIA N°3 Maggio Giugno 2009

Negli ultimi anni la finanza comportamentale e l’economia comportamentale hanno portato nuovi impulsi nel campo dell’economia. Il loro esponente più noto, lo psicologo Daniel Kahneman, è stato premiato con il premio Nobel. La grande novità sarebbe questa: l’uomo non viene più considerato “razionale” dal punto di vista economico, ma sottoposto ad errori, anomalie di comportamento, condizionamenti ecc., contrari alle leggi “razionali” dell’economia: secondo le quali l’individuo dovrebbe sempre tendere al massimo guadagno con il minimo sforzo.
Vediamo così come l’uomo, che l’economia degli ultimi secoli aveva espulso da sé come un corpo estraneo, venga finalmente in qualche modo ricondotto in seno all’economia stessa: purtroppo, però, la sua umanità è pur sempre considerata un limite, un disturbo, un mero accidente; e il suo comportamento viene visto in subordine alle leggi economiche, mentre dovrebbe accadere esattamente il contrario.
Tutta la questione non è comunque priva di interesse, ma andrebbe vista senza ignorare certe strutture profonde, la cui conoscenza viene facilitata dalla pratica dell’antroposofia. Potremo allora chiederci: se noi tutti usiamo nei confronti del denaro strutture di pensiero e cognitive comunicanti, anzi, assolutamente simili tra di loro, da dove vengono allora tali strutture, e qual è la loro organizzazione interna?

Pensare in una moneta implica un sistema di riferimenti. Questo consiste, tra le altre cose, nelle relazioni che ognuno pone tra un ordine che chiamerò verticale, o ad albero, ed uno orizzontale, o ad isole (tra pochissimo chiarirò la cosa). Fin da bambini ci siamo esercitati nel porre tali rapporti: è molto difficile, peraltro, che, da adulti, li ricreiamo ex novo in poco tempo, come, per esempio, si pretendeva quando fu introdotto l'euro. In quel caso, peraltro, non servì ripercorrere l'intera serie di esperienze che avemmo da bambini: l'io adulto che è in noi poté venirci in soccorso, così come la pratica quotidiana, certo più intensa in un adulto che in un bambino, il quale normalmente non maneggia molto denaro.

Cominciamo ora a conoscere il "sistema orizzontale". Noi "sappiamo" che un litro di latte costa all'incirca come un cappuccino al bar. A tale equivalenza non si è normalmente attenti. Ambedue costano poco più di un euro, un euro e trenta, poniamo, eppure non percepiamo una "uguaglianza". È come se quella cifra avesse un valore ed un senso diversi a seconda dell'ambito e delle circostanze in cui operiamo. Voglio dire che, quando paghiamo il cappuccino al bar, di solito non pensiamo che “Costa come un litro di latte" e nemmeno che "Con gli stessi soldi faccio quindici chilometri di autostrada". Ad essere diversi sono, infatti, gli ambiti di riferimento. Se così non fosse troveremmo quel cappuccino troppo caro rispetto al costo di latte e caffè (e in effetti così la vede chi non ha molto da scialare). In un medesimo ambito, che potremmo chiamare, per esempio, "dei piccoli piaceri quotidiani", comprendente anche sigarette, giornali, aperitivo al bar, ecc., è probabile che si paragoni il costo di un cappuccino con quello di un caffè: "è un po' più caro". Un altro ambito, per esempio, potrebbe essere quello delle "necessità alimentari quotidiane" (pane, latte, frutta...). Gli elementi di un ambito tendono a non venir paragonati con quelli degli altri ambiti, ed ogni ambito ha le sue proprie unità di misura.

Ciò accade, per capirci, anche fuori della categoria denaro, per esempio con quella del tempo: la settimana a Parigi non verrà confrontata con una trascorsa in casa nella solita routine, quanto, piuttosto, con i venti giorni passati al mare in estate: nei due casi siamo nell'ambito "vacanza", piuttosto che in quello della “cronologia”. Abbiamo certamente una vera e propria strategia per orientarci tra questi mondi, tra questi valori. Essa non fa a tutta prima riferimento alla scala verticale dei numeri, ma si organizza per centri di interesse: alcuni di questi vengono ritenuti più (o meno) importanti, ovvero si incontrano più (o meno) di frequente. Potremmo immaginarci il tutto come un arcipelago di categorie, dove le isole ci sono più vicine, cioè familiari, o più lontane, a seconda che abbiamo con loro maggiore o minore consuetudine (per esempio gli acquisti importanti, come casa o automobile, non si fanno ogni giorno, e la relativa isola è dunque lontana). Inoltre, la loro dimensione potrebbe essere considerata proporzionale all’importanza delle somme messe in gioco. Così, per esempio, uno che rischi ogni giorno grosse somme in borsa vedrà le azioni come un’isola al tempo stesso piuttosto grossa, ma anche vicina, mentre è lontana l’isola con i prezzi della casa d’abitazione (non si compra casa ogni due giorni…). Lontana per tutti è l’isola delle eredità ricevute (non certo così frequenti): per alcuni, peraltro, essa potrà essere assai considerevole, in prospettiva, per altri modesta. Chiamerei questo arcipelago, in mezzo al quale noi ci troviamo, dimensione orizzontale del denaro (la quale somiglia, ma non coincide esattamente, con i conti mentali dell’economia comportamentale)

La dimensione verticale è invece quella delle nude cifre, non però viste in una semplice serie lineare (1,2,3 ecc), bensì riorganizzate per centri di attrazione. Nella progressione verticale da piccolo a grande vi sono, infatti, numeri particolarmente significativi intorno ai quali gli altri si trovano a gravitare. Per esempio, le 910, 850, 1020, 1200, forse anche 1400 vecchie lire ruotavano, si imperniavano attorno alle mille lire. Successivi centri d'attrazione erano le 2000 lire (che "attiravano" le 2500, le 1800, persino le 3000), poi le 5000, 10.000, 20.000, 50.000, 100.000 ecc., secondo la serie 1,2,5,10, 20 ecc., identica anche per l’euro. Non a caso questa serie corrisponde a quella dei tagli di banconote esistenti (con piccole differenze individuali o di popolo, ad esempio negli USA viene usato il taglio da 25 cents al posto dei 20). Si noti che altri importanti livelli, altri centri d'attrazione, vale a dire poli attenzionali usati per misurare un valore dal proprio punto di vista, possono comunque inserirsi nella scala, quali, per l'individuo singolo, lo stipendio, o il proprio patrimonio; per una nazione il debito pubblico o il Pil.

Per pensare in una valuta è inizialmente necessario allora che vengano ricostruiti i due microcosmi, quello dei centri di interesse (qualità, dove agisce l'anima cosciente) e quello dei centri di attrazione (quantità, dove opera l'anima razionale), cioè la dimensione orizzontale e quella verticale, Soprattutto, le due dimensioni vanno messe in comunicazione tra di loro e con la realtà degli scambi di denaro.

Consideriamo ora le cose da un altro punto di vista. Si potrebbe parlare di un corpo fisico del denaro: in tal caso non dovremmo pensare al biglietto di banca o alla moneta, che oggi ne sono solo il corpo materiale, quanto piuttosto al suo essere numero, al suo innestarsi nella scala numerica indifferenziata: uno, due, tre, quattro ecc. Un po’ quello che nel linguaggio sono le lettere dell'alfabeto, elementi di base. In tale corpo fisico del denaro, dalle caratteristiche quantitative, si innesta il "corpo eterico", che non è altro che l'organizzazione verticale che abbiamo descritto, orientata secondo grandezze quali 1-2-5-10 ecc.: ad essa si adegua la nostra attenzione. A questa organizzazione ci rapportiamo però tramite l'anima razionale. Si sono creati dei centri di gravità attenzionale, le cui leggi sembrano avere una qualche somiglianza con quelle della crescita delle piante. A questa specie di "corpo eterico", se vogliamo continuare ad estendere l’analogia alla lingua, corrisponderebbero le parole, in cui le singole lettere prendono una organizzazione. Esiste dunque una lingua del denaro, e di essa stiamo allora parlando.

Un ulteriore passo lo abbiamo considerando la dimensione orizzontale, quella dell'arcipelago degli ambiti (all'interno di ognuno dei quali, peraltro, si ritrova la dimensione verticale, relativamente, per esempio, ai diversi prezzi di un appartamento, una villa o un palazzo nell’isola/categoria “abitazione”). Qui troviamo relazioni, categorie, rapporti, sì da far pensare ad una profonda analogia con il corpo astrale dell'uomo. Siamo in un ambito qualitativo, riferito agli interessi dell'individuo, alle sue facoltà di scelta: esso viene elaborato soprattutto dall'anima cosciente. Nel linguaggio tutto ciò rimanda alla frase.

Pare dunque che riconosciamo nel denaro certe caratteristiche strutturali le quali sembrano riprese, o copiate, da altre realtà. Non stiamo parlando di esseri "reali". Il denaro non fu creato dagli dei. I libri di storia ci dicono che esso fu "inventato" in Medio Oriente in un periodo corrispondente alla seconda epoca postatlantica. Se la parola viene prima degli uomini, il denaro e il suo linguaggio sono invece una creazione spirituale con primaria partecipazione umana. In tale creazione l'uomo segue, per lo più inconsciamente, dei modelli. Quali? Quelli che ritrova nella natura, nel linguaggio, in se stesso. Pertanto, in quella che possiamo chiamare la lingua del denaro furono inseriti questi "corpi", che sono piuttosto delle controimmagini create dall’uomo.

L'uomo ha infatti bisogno di unità minime per il suo denaro di acquisto, con cui si procura le "cose", e così si adegua, imitandolo, allo spezzettamento del mondo materiale.
L'organizzazione verticale di valori da lui utilizzata e da noi poc'anzi descritta come un “corpo eterico”, simile a quella delle piante, sia nei ritmi che nella capacità di diramazione, lo illude, tra l’altro, sulla realtà e vitalità della propria ricchezza nonché sulla futura crescita e sulla presunta immortalità di questa. Ricordiamo come proprio Rudolf Steiner abbia indicato, nella tendenza del denaro ad una forma di immortalità, uno dei più grandi pericoli e problemi dell’economia.
Ma l’uomo può anche donare una parte del suo, o sostenere un’attività spirituale. Si tratta qui appunto di alcuni degli ambiti in cui si divide l'organizzazione orizzontale che abbiamo conosciuto. Non solo "piccole spese superflue" o "necessità quotidiane" (denaro d'acquisto), ma anche "mantengo alcune persone", "iscrizione all'associazione", "offerta". Qui il denaro "rende in quanto si brucia", solo qui e in tal modo può raggiungere un rapporto con l’immortalità. E solo qui la sua "astralità" può venir depurata e resa libera per l'io.
A questo punto possiamo aprire una parentesi e chiederci: "possiede", diciamo così, il denaro, di cui abbiamo indicato il “corpo astrale”, una organizzazione "io", una controimmagine del corpo dell'io? Forse sì: certamente, comunque, non si tratta di un'immagine che rispecchi un io singolo, bensì l'io di un gruppo, di solito in corrispondenza di un popolo, meglio ancora uno stato (franco francese, dracma greca ecc.), in quanto, in ultima analisi, la moneta rispecchia l'autorità che può imporne e sostenerne l'uso. Questo sarebbe ciò che gli economisti chiamano signoraggio, cioè, in sintesi, la legalizzazione arbitraria di una valuta, quando un potere ne impone accettazione ed uso. Ma non si tratta solo di questo: il potere d'una valuta, in realtà, si lega alla storia di un popolo e alle sue grandi personalità, se ne nutre e vuole rifletterne l'immagine. A questo scopo si riportarono sul denaro le effigie del sovrano o di personaggi illustri nel mondo delle arti, delle scienze, della politica ecc. Si tratta di veri e propri rappresentanti-sostituti dell'io e della sua forza, tramite i quali si intende stimolare l'anima senziente degli utilizzatori: ma, poiché la pura forza può non bastare ad imporre una valuta, il loro uso intende anche stimolare la fiducia della gente, che è l'alimento principale del denaro. Anche così, peraltro, la politica ha occupato il campo dell'economia.
Se riflettiamo ora a come sono fatti i biglietti di banca dell'euro, ci troviamo di fronte a gelide architetture senza alcun riferimento reale, fatte per non scontentare nessuno. Difficile è percepire energia umana in tutto ciò. Questo non poteva che aumentare lo sconcerto e lo spaesamento dei primi utilizzatori. Gli europei, a tutt’oggi, non riescono ad estendere la loro individualità ai propri biglietti di banca, "non ci si ritrovano", poiché la somma dei paesi e delle loro valute non ha dato un nuovo essere, ma un ente-numero. Quando noi singoli italiani spendevamo o investivamo le lire, tutto un popolo, per così dire, era alle nostre spalle, con le sue forze e le sue debolezze. Dietro all'euro, visto come banconota, non percepiamo ancora un tale io collettivo, poiché le differenze culturali e linguistiche, i pregiudizi, le diffidenze tra i popoli europei permangono troppo forti. Abbiamo sì, comunque, una vaga, sognante idea dell’”essere Euro”, ma le banconote esistenti non la rappresentano affatto. Probabilmente su questo punto occorrevano maggiori capacità: potremmo dire che l'euro era una cosa troppo seria per lasciarla nelle mani dei banchieri centrali. Insomma: l'anima senziente dei diversi popoli europei non si sintonizza facilmente con siffatte banconote.
Maggior saggezza pratica si è forse avuta nel conio delle monete metalliche, dove spesso sopravvive l'elemento personale, umano, storico od artistico di una nazione, in quanto esse vengono appunto disegnate e coniate da ciascuno stato. In tal modo, però, si è fallito in quella che doveva essere la promozione della fraternità tra i popoli, anzi, non ci si è nemmeno provato. Rappresentare su una banconota Corot che dipinge gli edifici di Roma, Chopin che suona a Parigi, o Joyce a passeggio per Trieste, sarebbe magari stato più opportuno: ma bisognava sapersi porre il problema dell'io nel denaro.

Si pensi a come la lira "fosse noi", si fosse ormai legata all'identità dello stato italiano, del suo popolo, della sua lingua. Sulle lire si rappresentavano Verdi, Colombo, Leonardo. Le lire in qualche modo ci risvegliavano (non sempre, invero); ma l'euro, dove ci porta se non nel sogno? Infatti, non estende il noi, ma ci porta fuori di noi. Questo è anche il meccanismo, peraltro non unico, per il quale i commercianti riuscirono ad aumentare i prezzi nel primo periodo dell’euro. Essi sfruttarono quello stato di sogno, che deriva da un disturbo dell'anima senziente, per cui, pressato da troppe novità, attento a mille pericoli, il viaggiatore stressato finisce per distrarsi proprio dall'essenziale e le valigie gli vengono sottratte sotto il naso senza che se ne accorga. Dell'euro, a tutta prima, abbiamo percepito l'ingombro, non l'energia. E chi era più pratico nei meccanismi di scambio ne ha profittato per spremerci duramente.

È chiaro, a questo punto, che i governi e le banche hanno riconosciuto solamente le caratteristiche fisiche e materiali della nuova moneta, non curandosi, né essendo in grado di farlo, di quali problemi un tale cambiamento ponesse ulteriormente. L'organizzazione “eterica” 1-2-5, per vero, fu conservata, i tagli rimasero gli stessi; però inizialmente essi non "vivevano" in quanto ancora mancavano negli utilizzatori le relazioni di valore con le merci: l'euro un po' come l'Esperanto. Una lingua ignota. Nell'organizzazione orizzontale, poi, era divenuto difficile dare un ordine all'arcipelago dei valori, pur sopravvissuto ad anni di alta inflazione: allora, con l’inflazione, i prezzi cambiavano, sì, ma comunque progressivamente e lasciando sostanzialmente integre scale e proporzioni tra i prezzi. Ma un tale automatismo non era più possibile in caso di totale cambio di valuta: il pensiero non riusciva a lavorare contemporaneamente sull'aspetto "eterico" e su quello "astrale", in quanto il rapporto del primo con i nostri personali valori non era più "automatico". Questo è il punto. Dovevamo comporre frasi, ma la nostra attenzione era ancora portata a riconoscere le singole lettere. Eravamo tutti "dislessici" nella lingua dell’euro!

Gli articoli che prima dell’euro ci dicevano: Un pasto al ristorante costerà 30 euro, un'automobile 15000, un cappotto 400 euro, ecc., erano sì corretti, ma mancavano di anima. Si trattava di liste prive di riscontro con il nostro vero modo di organizzare il pensiero nell'ambito di una valuta. Ecco perché non furono efficaci. Per pensare e parlare nella lingua dell’euro ci mancava la coscienza dei rapporti tra valori oggettivi (cioè i prezzi, legati ai numeri, al corpo fisico della valuta) e quelli soggettivi (giudizi, qualità, in rapporto con il corpo astrale). Credo, infatti, che in nessun libro di economia la capacità acquisita di valutare i prezzi in una moneta, cioè, se vogliamo, la cooperazione armonica delle anime senziente, razionale e cosciente nell’individuo, sia mai stata vista come un valore in sé. Ma poiché, come insegna Rudolf Steiner, il prezzo si ha quando un valore cozza contro un altro valore, se io non conosco il valore di ciò che ho in mano sono svantaggiato. Forse questa è una buona spiegazione per quanto è successo. Ci siamo adattati, o ci hanno fatto adattare, alla nuova unità con l'aggrapparci ai meccanismi di pensiero più vitali ed automatici insieme, quelli legati al taglio delle banconote, al corpo eterico del denaro. L'anima razionale ha prevalso sulle altre, fatto sommamente irrazionale! Ciò equivaleva ad un peccato di orgoglio, e la punizione non è mancata…
Lasciamo ora questa parentesi sull’io del denaro e sull’introduzione dell’euro: riportiamoci al denaro d’acquisto quale lo descrisse Rudolf Steiner (cessione del denaro in cambio di un oggetto).

Quando si realizza un tale scambio, il denaro d'acquisto sembra situarsi tra mondo fisico ed eterico. L’acquirente, infatti, metamorfosa tramite l'anima razionale il denaro, che in sé è inutilizzabile, in qualche cosa di utile per la propria vita e il suo stato passa appunto da possessore di oggetto fisico “inutile” (es.: la banconota) a utilizzatore di altro oggetto (es.: un paio di scarpe): dunque si eleva. Percorso inverso fa il venditore, il quale cede oggetti con cui si vive nel mondo per conquistare il corpo fisico del denaro. In un certo modo esce dalla vita, cioè lascia, abbandona, almeno in parte, il mondo ed abbassa il proprio livello. Egli conquista il corpo fisico del denaro, e ciò significa semplicemente che riceve in mano (conquista) i biglietti di banca, cioè il corpo materiale, o, più in generale, potendo trattarsi di assegni, bonifici ecc., comunque il corpo fisico, il valore numerico. Esce dalla vita perché la merce era inserita nel mondo, era parte della realtà attiva di questo mondo, mentre il denaro che gli resta in mano è una realtà spirituale legata agli uomini e al loro comportamento.
Simile situazione troviamo nel denaro di prestito, ma stavolta tra livello eterico e livello astrale. Infatti, chi presta non lo fa per ottenere qualcosa di utilizzabile nella vita (livello eterico), ma per offrire all’altro una opportunità: si eleva così dal livello eterico a quello astrale (operazione che poggia sull'anima cosciente). Viceversa il fruitore del prestito "torna" dal mondo aperto e non incarnato delle possibilità a quello in cui deve far vivere quanto prestatogli, investendolo, spendendolo, scendendo nella lotta della vita reale. ecc. Si “abbassa”, per così dire, verso la terra.
Più in alto c’è il dono, con cui riconosciamo dignità di io a chi lo riceve, nella direzione del sé spirituale: esso eleva al di sopra dell'astralità e dell'egoismo il donatore, che rimane libero nel campo della volontà quanto il ricevente viene invece impegnato nel campo del sentimento, nella gratitudine. In tal modo, si noti, vengono create, tramite il denaro, continue oscillazioni nelle due opposte direzioni tra il mondo della necessità e quello della libertà.

Nel precedente paragrafo abbiamo dunque considerato come il denaro d’acquisto ci faccia oscillare tra fisico ed eterico, il denaro di prestito tra eterico e astrale, il denaro di donazione tra astrale ed io. Vediamo ora a quali importanti conseguenze ci portino queste considerazioni.

Riportiamoci a qualche secolo addietro, quando denaro erano solo le monete di metallo, più o meno prezioso. Era diffuso allora tra la gente (ma lo è ancora) un pensare ingenuo, una specie di visione statica per la quale a tot denaro in circolazione dovrebbe corrispondere un tot di merci in offerta. Ciò è in parte giustificato: non dimentichiamo che sino al 1971 il dollaro era ancora il rappresentante di un corrispondente valore in oro (custodito a Fort Knox), e che tutte le vecchie banconote erano egualmente il titolo rappresentativo della proprietà di un tot del prezioso metallo. Le stesse antiche monete non erano che una quantità precisa di metallo sopra la quale veniva impresso il valore corrispondente alla quantità stessa (da cui i vari sotterfugi ed imbrogli, come grattar via impercettibilmente un po’ di metallo, in particolare l’oro, ovvero fondere monete in cui all’interno dell’argento fosse nascosto il piombo ecc.).
Allora, evidentemente, tutto funzionava come se da una parte ci fossero i metalli (oro, argento ecc.), scelti per pregio, conservazione, semplicità di trasporto; dall’altra tutto quanto può servire alla vita. Al pensiero di allora doveva apparire necessaria una corrispondenza biunivoca e totale tra le due parti, come detto poco sopra.
Per questa visione risulta assai difficile giustificare un concetto quale la steineriana morte del denaro, ma anche uno molto più semplice, quale l'interesse sui prestiti. Se infatti il numero di monete metalliche esistenti deve rimanere all'incirca immutabile, come sarà possibile che si paghi un interesse per un prestito? Con il denaro di prestito ho comperato, poniamo, delle pecore, le ho allevate e moltiplicate, poi vendute e reso il prestito con gli interessi: ma, alla fine, in una economia chiusa, ripetendo l'esempio, sembra che se uno si arricchisce qualcun altro debba impoverirsi: se le monete sono sempre le stesse!!
Tuttavia, è innegabile che, nell’esempio, il benessere generale sia frattanto aumentato: prima per mille uomini c'erano 400 pecore, ora sono 1200, ecc. ecc. In effetti, se la quantità di denaro rimanesse sempre la stessa il suo valore dovrebbe, il più delle volte, aumentare di continuo, corrispondendo ad una ricchezza comune maggiorata, ed in questo aumento (comune) di valore, attenzione, potrebbe esserci il vero interesse per chi ha dato i denari a prestito, ma anche per tutti gli altri possessori di denaro.
Il caso simmetrico sarebbe quello per cui c'è in giro sempre più denaro (perché vengono stampati biglietti, o per altre forme di aumento della massa monetaria) mentre certi beni (i terreni, un po' meno le case) non possono aumentare di quantità, e allora costano sempre di più (la ricchezza fondiaria statica, quando il denaro torna alla terra). Questo è un caso di inflazione, nel quale, in realtà, la ricchezza fondiaria prende esattamente il posto che nel primo esempio aveva la ricchezza in monete metalliche (oro). La situazione, al giorno d’oggi, è quella di una via di mezzo: la ricchezza generale mediamente negli anni sta comunque aumentando, però sui prestiti viene pagato un interesse e il denaro è comunque eroso dall'inflazione, cioè perde lo stesso di valore pur se aumenta la ricchezza in oggetti e simili.
Ridiciamo tutto ciò nei termini del nostro esempio. Chi crea moneta prende atto "dell'aumento del numero di pecore" e stampa corrispondentemente un po' di denaro (ora consideriamo la cartamoneta). Parte di questo denaro (ma anche tutto, o eccezionalmente anche di più) va a pagare gli interessi al prestatore, il resto va come guadagno al creatore di valore. Se poi creo un po' di più di moneta di quanto valessero le nuove pecore al vecchio prezzo, che ottengo? Ottengo che creo inflazione, uno dei modi in cui il denaro vien fatto morire. È questo che succede oggi. Potrebbe tuttavia accadere anche il contrario: aumenta la ricchezza ma non si crea nuovo denaro, di conseguenza che succede? Il denaro vecchio aumenta di valore (e per comodità d'uso si è magari costretti a frazionarlo, per esempio rompendo letteralmente le monete in due o quattro parti – e in realtà nel passato successe anche questo): questo aumento di valore, con conseguente diminuzione dei prezzi, anche in assenza di pagamento di interessi, potrebbe rappresentare, guardando le cose nell'insieme, un compenso soddisfacente per il prestatore. Sarebbe il contrario esatto dell'inflazione. Socialmente parlando, a prima vista non sembrerebbe poi così male.
Nella pratica esiste un'ulteriore modalità, in una economia non ancora globale, per certificare questo aumento di valore di una moneta senza che i prezzi diminuiscano: è il cambio. Infatti se i prezzi non diminuiscono ma la ricchezza comunque aumenta, una valuta acquista forza verso le altre e permette, per esempio, di sentirsi più ricchi nei riguardi di un altro stato. Lì la propria valuta sfoga quella forza, favorendo le importazioni. Tuttavia il futuro non va in questa direzione, né lo dovrebbe.
Da un lato, dunque, prima possibilità: più denaro in giro, ma con uguale ricchezza complessiva, dà inflazione.
Dall’altro lato, possibilità opposta: la ricchezza in oggetti aumenta, il denaro (oro) è sempre quello stesso = rivalutazione del denaro. Una cosa del genere accade oggi nel campo delle azioni. Un’azione corrisponde alla quota di un’azienda, a un pezzetto di proprietà dell’azienda. Se l’azienda guadagna essa aumenta di valore; e se il numero delle quote di proprietà rimane lo stesso ognuna di esse aumenterà appunto proporzionalmente di valore, costerà di più.
Consideriamo ancora i terreni, o l'oro, la cui quantità è pressoché immutabile. Il loro prezzo (al di là delle temporanee ondate speculative) aumenta nel tempo perché vengono scambiati con "una quantità tot di monete", per tornare al vecchio esempio, anzi, di biglietti di banca, che cresce di continuo per adeguarsi all'aumento del numero di pecore (ricchezza) prodotto dal lavoro dei pastori. Qui si vede chiaramente come una parte del lavoro dei pastori venga "rubata" dalla rendita fondiaria, e parte, eventualmente, anche dall'eccessiva produzione di denaro. Se la ricchezza generale aumenta e le si fa corrispondere una eguale crescita di quantità di denaro, il denaro insegue la realtà e non aumenta il suo valore (ne perde, magari, solo oltre un certo limite). Ma se “il numero delle monete è sempre all’incirca lo stesso” (pensare ingenuo), allora è il mondo che si sottomette al denaro, sacrifica la propria mobilità all’immobilità di quello, per esempio negando la possibilità di un interesse su un prestito (da dove salterebbero fuori le nuove monete?).

In realtà per tutto il mondo islamico ottenere un interesse su di un prestito è assolutamente illecito. Si può guadagnare con un commercio, un investimento di rischio, un affitto, ma non su un prestito, sarebbe immorale. Ed in effetti, se immagino che uno mi chieda un prestito, può essere che 1) si tratti di un amico in difficoltà: è giusto che io lucri un guadagno proprio sulle difficoltà di un amico? Considerandola così, evidentemente no (ma c’è sotto anche il concetto, visto poco fa, che il denaro non può crescere da solo, sarebbe cosa diabolica). 2) Però magari l’amico non è in difficoltà, ma vuole solo migliorare la sua condizione, crearsi un lavoro nuovo, investire in un’impresa. Credo io nelle sue possibilità? Se no, perché prestargli denaro? E se sì, e sono conscio che c’è un rischio che lui corre, è giusto che io mi ripari da questo rischio chiedendo un interesse costante e lasciando rischiare solo lui? Fa così, un amico? O non dovrei rischiare il mio denaro nella sua impresa, condividendone successi e fallimenti, guadagni e perdite? Anche perché, se vogliamo, ove le cose andassero male, difficilmente prestito e interesse mi verrebbero restituiti…

Nel mondo cattolico vi è da sempre una certa antipatia verso i concetti di prestito ed investimento, e non a caso: il denaro è sterco del diavolo! Oggi comunque il prestito assume per lo più l’aspetto dell’obbligazione, verso una banca, una società, o lo stato (Titoli di stato, BOT ecc.). Do in prestito una somma, ricevo interessi, alla fine mi viene resa la somma. L’investimento invece corrisponde all’azione, cioè all’acquisto di una frazione della società che mi dà diritto a ricevere la corrispondente parte degli utili (il dividendo) e che può essere rivenduta più o meno cara, a seconda che la società vada bene o male.

Oggi questi sono strumenti normalmente accettati, nessuno si stupisce di ricevere un interesse, anzi, si rimane contrariati se ciò non avviene. Eppure, alla luce di quanto abbiamo trovato sulla natura del denaro di prestito, dovremmo essere meno sognanti riguardo al denaro. Dovremmo capire che cosa c’è dietro a un titolo di stato, con cui concediamo al potere politico un credito di cui è stato costantemente fatto un uso sostanzialmente dannoso. Si capisce anche come il prestare abbia una sua moralità, che dipende dal fatto che senza i prestiti è difficile aumenti la creazione di ricchezza (le pecore!), e di conseguenza anche il valore del denaro reso. Ma forse dovremmo sentire l’interesse ricevuto non come “nostro” , bensì nel quadro di una crescita sociale comune (difficile finché ci sarà chi ha il potere di creare inflazione stampando denaro): si tratterebbe di una specie di passo del denaro di prestito in direzione di quello di donazione, salendo non più da eterico ad astrale, ma da astrale al livello dell’io, o addirittura del sé superiore. Così anche sente l’imprenditore che ha a cuore gli interessi della popolazione in cui agisce (lui però agisce con l’investimento a rischio, non con il prestito). Il pagamento di interessi su un prestito, insomma, ci appare come un fatto che appesantisce l’economia e non sembra del tutto corretto da un punto di vista morale.

Come forse si è compreso,, ho appena cercato di rendere visibili per esempi le affermazioni di R. Steiner ne I Capisaldi dell'Economia. Si è parlato di inflazione e svalutazione: e qui fa infine capolino l'appassionante problema del tempo nel denaro. Con il denaro compero oggetti, o servizi, cui viene dato un valore tot. Nel caso degli oggetti, che cosa realmente possiedo in tal modo? Presso gli antichi romani per l’avere troviamo la forma "mihi est", "è a me", in rapporto con me. Però io non "ho" l'oggetto: non così, almeno, quanto io ho il mio naso, un talento, una malattia. Gli oggetti, invece, mi sfuggono, il legame tra di noi è labile, sostanzialmente giuridico, anche se spesso tende ad esprimersi nello spazio. Più stretto sembra, piuttosto, un legame di tipo temporale, il tempo è "mio", posso vendere il mio tempo, è una ricchezza - se creo un valore per qualcuno, o anche per me stesso (mi piace stare qui...). Eppure il denaro non dovrebbe proprio "comperare il tempo", visto che non posso aggiungere al mio tempo il tempo di un altro: paradossalmente esso compra infatti solo la facoltà di distruggere.


Spieghiamoci meglio. Il denaro produce un certo tipo di rapporto tra me, per esempio, e certi oggetti. Produce un avere giuridico, o anche un avere sul piano eterico, come nell'acquistare e consumare del cibo. Però l'avere, in generale, non opera nel mondo fisico: con il denaro posso comperare, "avere", relazioni con le cose, ma non le cose stesse. Col solo denaro non posso incorporarmi delle qualità, bensì, al massimo, delle protesi.
Forse vi è un avere anche nel caso degli alimenti che mangiamo, ma, per paradosso, anche qui proprio solo nel momento in cui li distruggiamo! Anzi, questo è probabilmente il modello profondo per ogni "avere": così pure nel caso di un'automobile, o un elettrodomestico, l'avere consiste non solo e non tanto nella possibilità di utilizzare, quanto piuttosto nella libertà di usurare, di consumare (non sono libero di distruggere un oggetto preso a prestito, però posso utilizzarlo, ma allora avendo cura di usurarlo il meno possibile!).
E questo, vedi un po', è proprio il modello di comportamento dello spirito nei confronti del corpo: l'attività dello spirito consuma, distrugge i corpi fisico ed eterico, e non è invece presente dove vi sono processi di costruzione, di crescita. Il solo modo di possedere il mondo è: farlo con l'attività spirituale. La distruzione è così al servizio della metamorfosi verso l'io, comunque sempre verso un risultato più spirituale. Infatti, quanto più l'oggetto è portatore di valori spirituali elevati, tanto più viene disapprovato, o addirittura proibito, che lo si rovini, o lo si distrugga, anche se da parte degli stessi legittimi proprietari. Perciò, da un lato il mondo ci è dato in prestito, e dobbiamo conservarlo; dall'altro dobbiamo metamorfosarlo secondo mete morali. Per contro, in una società in cui non fossi proprietario di nulla, nel senso anzidetto, che avverrebbe di questa facoltà di distruggere / spiritualizzare? Che è avvenuto dello spirito nel mondo comunista?
Perciò, se il denaro ci dà sostanzialmente la facoltà di distruggere, usare e modificare il mondo, quando lo dono favorisco l’espandersi della vita spirituale del beneficiato. Se lo presto soltanto, pongo un termine temporale a questo sviluppo, e lascio la porta aperta al mio giudizio su quanto avvenuto. Se chiedo un interesse limito ulteriormente la mia partecipazione umana a quanto succederà, mentre se partecipo come investitore unisco in parte il mio destino a quello del ricevente.
Ricapitoliamo. Noi pensiamo e “parliamo” in una moneta come in una lingua. Negli scambi di denaro avviene una forma di scambio di posizione tra i contraenti: in particolare il denaro ci consente di muoverci tra necessità e libertà. Ponendo il denaro in rapporto con il concetto di possesso, ci siamo accorti che denaro e possesso danno facoltà di distruggere il mondo, ma anche di metamorfosarlo, permettono allo spirito di agire. Così il denaro di impresa, il capitale, potrebbe favorire la creazione di un contesto sociale ove non si paghino interessi sui prestiti, e in tal modo il denaro di prestito sia spinto a metamorfosarsi verso il dono. Di per sé, invece, il pagamento di un interesse sui prestiti sciolto dai risultati che questi permettono di ottenere, risulta elemento frenante e persino disumanizzante (per non parlare dell’interesse chiesto su denaro di cui ci sia vero bisogno per sopravvivere).
Naturalmente qui non si vuole accusare o colpevolizzare nessuno. Si tratta soltanto di tentare un passo nella direzione di una maggiore coscienza di fatti economici quotidiani il cui significato potrebbe sembrarci scontato. Tra l’altro, così viene messa in evidenza la profonda immoralità dello Stato creatore di inflazione, fenomeno che rende più difficile rinunciare all’interesse sui prestiti. In effetti, piccoli prestiti dati ad iniziative di minimi gruppi o individui singoli, a basso interesse, hanno permesso in questi anni di risollevare le sorti di parte del terzo mondo, responsabilizzando i beneficiati, operando molto meglio del denaro donato alle grosse organizzazioni. Anche nel dono, dunque, ci vogliono coscienza ed occhi aperti, perché si può far danno a dispetto delle migliori intenzioni.
È dunque importante che aumenti la coscienza di che cos'è il denaro: un linguaggio con cui muoviamo il nostro essere nel mondo fisico e giuridico, non per possedere, nel senso comune che si crede di dare alla parola, ma per metamorfosare il mondo. Possedere il mondo è dunque piuttosto un'azione spirituale: con essa l'uomo modifica la realtà materiale, secondo scelte che sono, inevitabilmente, morali, e dovrebbero tendere verso un aumento complessivo delle qualità spirituali


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