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Autore Messaggio
 Oggetto del messaggio: Cap 1
Messaggio da leggereInviato: 04/10/2012, 12:47 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
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(Cap 1: 1° parte di 5)

LA SCIENZA DELLA LIBERTÀ’

I - L'AZIONE UMANA COSCIENTE
« È l'uomo, nel suo pensare e agire, un essere spiritualmente libero,
o sta sotto la costrizione di una ferrea necessità determinata da leggi
puramente naturali? ».


Cita:
(Rob 25/09/12):
"qua è abbastanza chiaro ciò che ha in mente Steiner; egli si chiede se l' uomo è libero nel "volere" e nel "pensare";
è evidente che l' uomo non possa essere libero nel volere quando è determinato da necessità, da istinto, quando è forzato.
Potrebbe invece essere libero, nel volere, qualora quest' ultimo fosse sorretto dal "pensare" e sempre che
in esso l' uomo possa dirsi libero.
Solo se c'è un "libero" pensare, allora potrà esservi una "libera" volontà (sempre che questa sia sorretta però da questo pensare e non da istinto, necessità...)
Quindi, potendo dimostrare una libertà nel pensare,
occorre che pertanto la volontà per dirsi "libera" affondi in un "pensare cosciente".
Insomma, se la volontà è sorretta da un "pensare cosciente" sarà possibile, qualora si dimostrasse un "pensare" libero,
che essa possa essere pure "libera"; in qualsiasi altra situazione, in cui l' azione non è sorretta da un pensare cosciente,
di sicuro libera l' azione non è.
Quindi ora occorre proprio distinguere una azione, una volontà, sorretta dal pensare cosciente (e pertanto suscettibile di essere libera)
da una invece dove non c'è alla base il "pensare".
A questo punto diventa quindi FONDAMENTALE per Steiner chiarire la differenza enorme che passa tra una azione "pensata" e una di cui siamo magari coscienti ma senza che ne abbiamo determinato i motivi in modo cosciente.
Steiner, come si vedrà più avanti, considera il "pensare" l' unica attività propria dell' uomo; in tutta la restante parte spirituale (sensazioni, emozioni, ecc..) è come qualcosa che avviene nell' uomo, nella sua natura; pertanto in tutto ciò l' uomo vive in uno stato di necessità; solo nel "pensare" l' uomo è attivo e quindi penso che Steiner intenda ciò come "libero", non determinato dalla natura.
Credo che un pregiudizio che abbiamo è di credere "libero" qualcosa di "soggettivo"; invece tutto quanto ci giunge come sensazione non è "libero"; possiamo avere la libertà di decidere di provare determinate sensazioni, ma non siamo noi a crearle!
Invece nel "pensare" quale attività propria dell' uomo, e unica (e Steiner cercherà di dimostrare ciò), è insito quindi che essendo "propria" possa essere libera, ossia non determinata da qualcosa di esterno, ma determinabile dall' uomo stesso!
Cita:
Giul 19\10\2012 Rimando a quanto scritto nel topic "prefazione" viewtopic.php?f=73&p=1278#p1278


Su poche questioni si è tanto aguzzato l'umano
ingegno quanto su questa. L'idea della libertà ha trovato numerose
falangi e di caldi sostenitori e di ostinati oppositori. Vi sono uomini
che, nel loro pathos morale, chiamano addirittura spiriti ristretti tutti
quelli che osano negare un fatto così palese come la libertà; di fronte a
loro, altri considerano invece un colmo di spirito antiscientifico il credere
che la necessità delle leggi della natura rimanga sospesa nel campo
dell'agire e pensare umano. Ciò che agli uni appare come il più prezioso
bene dell'umanità, appare agli altri come la peggiore illusione.
Infinito acume è stato applicato allo scopo di spiegare come la libertà
umana si possa conciliare col procedere della natura, alla quale pur
l'uomo appartiene; con non minor fatica è stato dall'altra parte tentato
di spiegare come l'illusione della libertà sia potuta sorgere. Chiunque
non abbia per tratto distintivo del suo carattere la leggerezza, sente che
qui si sta di fronte a uno dei più gravi problemi della vita, della religione,
della prassi e della scienza. E fa parte dei tristi indizi della superficialità
del pensiero odierno la circostanza che un libro, il quale vorrebbe
coi risultati delle più recenti ricerche naturali coniare una « nuova
fede » (Dav. Fried. Strauss La vecchia e la nuova fede), non contenga
su questo problema altre parole che le seguenti: « Nel problema della
libertà della volontà umana, non abbiamo qui a entrare. La supposta
indifferente libertà di scelta è stata sempre riconosciuta come un vuoto
fantasma da ogni filosofia che fosse degna di tal nome; la determinazione
del valore morale delle intenzioni e delle azioni umane resta d'altronde
indipendente da quel problema ». Non perché io creda che il
libro dello Strauss abbia speciale importanza, ho citato questo passo;
ma perché mi sembra rispecchiare il punto di vista fino al quale riesce
ad innalzarsi, relativamente a questa opinione, la maggioranza pensante
dei contemporanei. Oggigiorno ognuno che pretenda di possedere
almeno i primi elementi della scienza par che sappia che la libertà non
può consistere nella scelta affatto arbitraria - date due azioni ugualmente
possibili - dell'una oppure dell'altra. Si ritiene che vi sia sempre
una causa interamente determinata, per cui, fra più azioni possibili, una
soltanto viene portata a compimento.
Ciò sembra evidente. Tuttavia i principali attacchi degli oppositori
della libertà si rivolgono, ancor oggi, esclusivamente contro la libertà
di scelta. Persino Herbert Spencer, le cui vedute guadagnano ogni giorno
di estensione, dice nei Principi della Psicologia: « Che ciascuno di
noi possa a proprio piacimento desiderare oppure non desiderare una
cosa - il che è, in fondo, l'assioma principale del dogma del libero arbitrio
- è negato tanto dall'analisi della coscienza quanto dal contenuto
dei precedenti capitoli (della Psicologia) ». Dallo stesso punto di vista
partono anche altri, nel combattere il concetto del libero arbitrio. In
germe, tutte le considerazioni al riguardo si trovano già in Spinoza.
Ciò che questi aveva detto in modo semplice e chiaro contro l'idea della
libertà, fu dopo di lui ripetuto innumerevoli volte, ma generalmente
inviluppato in teorie estremamente sofistiche, sicché è divenuto difficile
ritrovare il filo semplice e diretto del ragionamento, ch'è il solo che
importa.
In una lettera dell'ottobre o novembre 1674, Spinoza scrive: « Io
chiamo libera una cosa che esiste e agisce per semplice necessità della
sua natura, e forzata quella che viene invece determinata all'esistenza e
all'azione, in modo preciso e fisso, da qualche altra cosa. Così, ad esempio,
l'esistenza di Dio, quantunque necessaria, è libera, perché deriva
solo dalla necessità della Sua propria natura. Così pure è libera la
conoscenza che Dio ha di Sé stesso e di tutto il resto, perché solo dalla
necessità della Sua natura proviene ch'Egli tutto conosca. Voi vedete
dunque ch'io faccio consistere la libertà, non in una libera decisione,
ma in una libera necessita.

Cita:
(Rob 25/9/12):
Dio è "libero" nella sua necessità, dice Spinoza. Anche l' uomo nel pensare è libero
(in quanto creatore, in esso; in quanto unica attività propria dell' uomo e che non si esprime come già creato, come già dato)
ma nel pensare tuttavia è, come Dio stesso, libero di "necessità";
il "pensare" dell' uomo infatti non si dà "liberamente" all' uomo per cui egli a proprio gusto può determinare in che modo il "pensare" può rendergli conto di una percezione ad esempio! C'è una "necessità", ossia una certa "oggettività" entro la quale poi l' uomo opera col pensare.
L' uomo pensa, crea i pensieri, ma non si inventa il modo in cui l' attività del pensare stesso opera in lui!
Se è libera l' attività del pensare nell' uomo, non è libero però poi nel fatto che la rosa sia gialla e non rossa! che il triangolo sia quello e non altro. Qua c'è una certa "necessità" di base, la stessa necessità che Dio ha avuto nel creare il mondo non "a caso", non lanciando i dadi, ma rispondente intimamente a sé, alla sua necessità appunto.
Quindi spinozianamente possiamo dirci "creatori" nel pensare, ma creatori necessitati dalla struttura stessa del pensare, che non è "a caso" o come lanciare i dadi.
E' come nel "fight club": la prima regola è... non ci sono regole. Il pensare crea, ed è libero in sé; ma a sua volta il pensare ha una sua struttura. Noi creiamo un "pensare" che è oggettivo (il concetto di triangolo) e proprio perché oggettivo ha una sua struttura; c'è una "prima regola", una necessità quindi a monte e poi, eventualmente, una libertà, all' interno però di essa.


Cita:
Giul 19\10\2012 c'è una "prima regola", una necessità quindi a monte e poi, eventualmente, una libertà, all' interno però di essa. In effetti ci sono dei condizionamenti, quale, per esempio, che 2+3 fa 5, o la legge del sillogismo ecc. Sono al tempo stesso caratteristiche del "territorio" che il mio pensare attraversa.
In pratica, pensare sul pensare potrebbe essere detto anche "sentire il pensare". L'arte, che pur ha una via iniziatica propria, sempre dimenticata, funziona diversamente dal pensare, però la sensibilità viene richiesta allorché si tratti di pensare sul pensare.


Ultima modifica di robinson il 04/10/2012, 15:49, modificato 1 volta in totale.

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 Oggetto del messaggio: Cap 1: seconda parte
Messaggio da leggereInviato: 04/10/2012, 12:49 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
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(Cap 1°: parte 2° di 5)

Ma scendiamo alle cose create, che vengono tutte determinate all'esistenza
e all'azione, in modo fisso e preciso, da cause esterne. Per
comprenderci meglio prendiamo un caso semplicissimo. Per esempio,
una pietra, cui venga comunicata da una spinta esterna una certa quantità
di moto, continua necessariamente nel moto, dopo che la spinta
della causa esterna è cessata. Questa persistenza della pietra nel suo
moto è quindi forzata, e non necessaria, perché dev'essere definita dalla
spinta di una causa esterna. Quel che qui si dice della pietra, vale di
qualsiasi altra singola cosa, per quanto complessa possa essere, cioè
ogni cosa viene necessariamente determinata a esistere e ad agire, in
modo fisso e preciso, da una causa esterna.
« Immaginate ora voi, di grazia, che la pietra, mentre si muove,
pensi e conosca che sta sforzandosi, per quanto può, a continuare nel
suo movimento. Questa pietra, in tal modo cosciente del suo sforzo in
uno stato tutt'altro che di indifferenza, crederà d'essere completamente
libera, e che per nessun'altra causa persiste nel suo movimento, se non
perché così vuole. Questa è quella libertà della volontà umana che
tutti credono di possedere, e che consiste solo in ciò: che gli uomini
sono coscienti dei propri desideri, ma non conoscono le cause da cui
vengono determinati. Così il bambino crede di desiderare liberamente
il latte, il ragazzo irato crede di desiderare liberamente la vendetta, il
timido la fuga. Così l'ubriaco crede di dire di sua libera volontà quelle
parole che, tornato in sé, vorrebbe non aver dette. Tale pregiudizio
essendo innato in tutti gli uomini, riesce molto difficile lo sbarazzarsene
: ché se anche l'esperienza sufficientemente insegna che niente gli
uomini sanno dominare così poco come i propri desideri, e che, mossi
da opposte passioni, essi vedono il meglio ma seguono il peggio, pur
tuttavia si ritengono liberi; e invero per questo: che vi sono cose ch'essi
desiderano di meno, e che possono facilmente domare certi desideri
per mezzo del ricordo di altri, a cui pensano spesso ».
Abbiamo qui dinanzi a noi una concezione chiara e chiaramente
espressa: e quindi ci sarà anche facile di scoprire l'errore fondamentale
che vi si nasconde. Come è necessario che in seguito a una spinta la
pietra compia un determinato movimento così dovrebbe essere neces
sario che l'uomo esegua una certa azione, quando vi è spinto da una
qualche causa. E solo perché l'uomo ha coscienza della sua azione, egli
si riterrebbe libero autore dell'azione stessa, trascurerebbe però di vedere
che c'è una causa che lo spinge, a cui egli deve incondizionatamente
assoggettarsi. L'errore di questo ragionamento è presto trovato.
Spinoza, e tutti quelli che pensano come lui, dimenticano di notare che
l'uomo, non solo ha coscienza della propria azione, ma può aver coscienza
anche delle cause dalle quali è guidato alla azione.
Cita:
(Rob 25/9/12):
Se solo fossimo coscienti delle nostre azioni, queste avrebbero la loro causa ignota e noi saremmo solo testimoni di esse;
Steiner spinge molto sull' importanza quindi di avere coscienza NON solo delle proprie azioni, ma delle "cause"
o forse a questo punto "motivi" per cui è guidato all' azione.
Solo così entra nell' azione il collegamento con il pensare cosciente; se dimostreremo che nel pensare cosciente l' uomo è libero, allora una azione, una volontà sorretta da tale pensiero pure si potrà dire libera.



Cita:

giul 29\10\2012
Eccomi con poco colpevole ritardo finalmente a trattare questo fondamentale punto. In qualche modo mi ha sbloccato il cervello la precisazione ora ottenuta su che significhi essere libero.
In precedenza avevo elencato le due possibilità che ci fanno liberi, se esistono contemporaneamente, e cioè il poter scegliere (
PS)e il poter fare (PF), cioè l'essere in grado di fare. Ma ora Steiner precisa che si intende libertà il non essere determinati dalle leggi della natura. Nella natura tutto si comporta come nella sequenza delle palle di biliardo, totalmente determinata una volta dato il colpo. Però, ATTENZIONE, non è assolutamente corretto definire una qualunque cosa dicendo quello che essa non è.
Questo fazzoletto NON è giallo: embè? Mica lo definisco! Questo animale NON è un cane. Ma che definizione sarebbe questa, scusa? Definire significa dare una descrizione/spiegazione univoca, e non certo escludere la cosa definita da un insieme qualunque. Se poi mi si fa osservare che la "natura" non è affatto un insieme qualunque, e le sue leggi risultano universali, allora:
1) vorrei che ci si rendesse conto che la definizione stessa di natura è di tipo negativo. Natura alla fin fine è, infatti, tutto ciò che NON è uomo.
2) allora il problema si sposta, forse, nel valutare se le leggi che agiscono nella "natura", cioè fuori dell'uomo, per dirla più brutalmente, agiscano anche all'interno dell'uomo. Ma ...anche qui ... dove comincia questo interno? Se però lasciamo per un momento da parte quest'ultimo problema, notiamo che tali leggi agiscono sì (per esempio, perdo l'equilibrio e cado: gravità!) ma non sempre e non su tutto (tre esempi: per le leggi del minerale il corpo non potrebbe star su e muoversi; per le leggi del vegetale, se le vogliamo in qualche modo aggiungere, comunque non si capisce perché una certa musica mi crei emozioni positive; infine, potrei notare che i pensieri non cadono per terra, e si fanno un baffo della legge di gravità.
E' ormai evidente che, comunque vada, io sarò parzialmente determinato e parzialmente NON determinato, il che ancora non significa libero!)


Nessuno
contesta che il bambino non è libero nel desiderare il latte, come non lo
è l'ubriaco quando dice cose di cui più tardi si pentirà. Entrambi ignorano
completamente le cause che sono attive nel profondo dei loro organismi
e sotto il cui tirannico imperio essi si trovano. Ma è giusto
mettere in un fascio azioni di questo genere con azioni nelle quali
l'uomo, non solo ha coscienza del proprio agire, ma anche delle cause
che ve lo spingono? Sono forse le azioni degli uomini tutte di un genere?
L'azione del capitano sul campo di battaglia, e quella dello studioso
nel laboratorio scientifico, e quella dell'uomo di stato nelle più intricate
circostanze diplomatiche, possono essere messe seriamente a pari con
quella del bambino che cerca il latte? È ben vero che un problema si
risolve tanto più facilmente quanto più semplice è il caso che uno si
propone; ma è pur vero che già molte volte l'incapacità di discernimento
ha portato ad una confusione senza fine. Ed è una differenza assai
profonda, quella che corre fra il caso in cui so perché faccio una cosa,
e il caso in cui non lo so. Ciò sembra essere una verità evidente. Eppure
gli oppositori della libertà non domandano mai se un motivo della
mia azione che sia da me riconosciuto e penetrato, rappresenti per me
una coercizione, nello stesso senso in cui per il bambino è coercizione
il processo organico che lo fa gridare per il latte.


Cita:
(Rob 25/9/12):
per quanto possa essere importante conoscere le "cause" o i "motivi" delle proprie azioni,
tuttavia questo ancora non dimostra che vi sia "libertà" in esse.
Spinoza qua viene sbertucciato abbastanza facilmente; chiaro che i paragoni fatti, col lattante e con l' ubriaco
si prestano BENE a dimostrare che l' uomo è succube della propria necessità (carattere, cause organiche ecc...).
Però anche gli esempi che fa Steiner non dimostrano quindi il contrario!
Ossia anche se il guerriero, il diplomatico e lo scienziato, "sanno" che cosa fanno (non sono solo coscienti di ciò che fanno,
ma perché e come lo fanno) purtuttavia ancora ciò non ci è sufficiente per dire che essi siano liberi nelle loro azioni.
Intanto mi verrebbe da dire che ciascuno di essi è diventato chi guerriero, chi diplomatico e chi ricercatore, assecondando
le proprie nature, i propri desideri; e come si può dire che non vi sia una qualche costrizione nel loro modo di pensare,
qualcosa che cioè rifletta in qualche modo anche la loro natura, il loro carattere ecc...
Insomma, se gli esempi di Spinoza non sono pertinenti per dimostrare che non può esistere un libero volere,
anche quelli fatti da Steiner non lo sono per dimostrare il contrario; infatti anche conoscendo le ragioni , i motivi delle proprie azioni,
ciò non è sufficiente per dirsi "liberi" in quel tipo di azione.
Mi verrebbe da dire che l' uomo è "forzato" quando è spinto da cause interne (carattere) od esterne (natura); ed è invece "liberamente" necessitato in quanto deriva dal poter esprimere la sua peculiare inclinazione, le proprie doti e talenti; e a questo punto "liberamente" necessitato nel suo "pensare" in quanto per quanto l' uomo possa pensare liberamente purtuttavia non può farlo se non usando il pensare così come esso oggettivamente è.



Cita:
Giul 29/10/2012
In effetti, l'esempio del lattante sembra scelto per mostrare come l'assenza del pensiero, pur in presenza degli impulsi, pregiudichi in lui la libertà. Il lattante sembra agire solo per leggi naturali, quasi come una palla da biliardo. Peraltro, di lui osserviamo l'agire, ma certo egli avrà anche una semplice attività rappresentativa ... che non può ... cadere per terra e rompersi!
Dunque il lattante NON può scegliere e NON può fare (se non ciò che gli è necessario, in cui non è "libero"), però ha un pur rudimentale - supponiamo - mondo di immagini, rappresentazioni e persino pensieri. Sarà dunque molto "natura" e poco "uomo", o meglio in gran parte determinato. Ma ... può bastare per dichiarare il pensare estraneo alle leggi naturali il fatto che molte di esse non agiscono nell'atto del pensare? Come dice Rob, conoscere i motivi delle proprie azioni, non appare sufficiente per dirsi "liberi" in quel tipo di azione.
A questo punto dovrei ricordarmi che nel definire uomo come contrapposto a natura io ho già presupposto che vi sia almeno UNA "cosa", un aspetto per il quale l'uno sia estraneo all'altra. Più semplicemente, se definisco la libertà come una quota di estraneità alle leggi della natura, già ponendo uomo e natura come diversi la mia definizione di libertà diventa una autodimostrazione, un circolo vizioso, una tautologia!


Ultima modifica di robinson il 04/10/2012, 15:51, modificato 1 volta in totale.

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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1: terza parte
Messaggio da leggereInviato: 04/10/2012, 12:51 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 1°: 3° parte di 5)



Edoardo von Hartmann, nella sua Fenomenologia della coscienza
morale (p. 451), afferma che la volontà umana dipende da due fattori
principali: dalle cause motrici o motivi e dal carattere. Se si considerano
gli uomini come tutti uguali o solo irrilevantemente diversi allora la
loro volontà appare determinata dal di fuori cioè dalie circostanze. Se
si considera invece che per uomini diversi una rappresentazione diventa
motivo di azione solo quando il loro carattere è tale che la rappresentazione
susciti in essi un desiderio, allora l'uomo appare determinato
dal di dentro e non dal di fuori. E poiché una rappresentazione impostagli
dall'esterno deve essere dall'uomo, in conformità del suo carattere,
trasformata in causa motrice, egli si ritiene libero, cioè indipendente
da cause motrici esterne. La verità però è - secondo Edoardo
von Hartmann - che « se anche siamo noi stessi che eleviamo le rappresentazioni
a motivi, non lo facciamo però arbitrariamente ma secondo
la necessità della nostra disposizione caratterologica, quindi in
modo tutt'altro che libero ». Anche qui si trascura di distinguere la
differenza fra quei motivi che facciamo agire sopra di noi solo dopo
che la nostra coscienza li ha penetrati, e quelli che invece seguiamo
senza averne chiara conoscenza.


Cita:
(Rob 25/9/12):
qua la faccenda è sottile; in che modo infatti la coscienza penetra le cause, i motivi dell' agire?
In che modo riusciamo a resistere alle nostre inclinazioni, al nostro carattere, sicuri di vedere l' albero a 360° con tutte le visioni possibili che si "possano" avere di esso?
Questa è una sicura fonte di malinteso; ciascuno di noi si dice "oggettivo", specie dopo avere penetrato (ma ciascuno a modo suo) con la propria coscienza.
Siamo ancora al punto che secondo me non è sufficiente per dirsi "libero", o comunque NON necessitato, avere solo una chiara coscienza delle cause o dei motivi del proprio agire.
Anche perché dovremmo essere "sicuri" che in noi è CHI che decide (l' Io), e non COSA decide (il carattere, un particolare stato organico ecc...). Insomma, qua il campo si fa molto minato, e soprattutto può essere fonte di equivoci e malintesi.


Cita:
Giul 29/10/2012
avere coscienza dei motivi dell'agire è forse una definizione parziale. Infatti ciò può valere molto per la PS (possib. di scelta), ma poco per la PF (poter fare). Il carcerato non è in grado di passeggiare per la città, nel PF non è libero. Può però sentirne il desiderio, e soprattutto comprendere che questo desiderio è qualcosa di naturale, che gli viene richiesto dal corpo e che gli farebbe bene: comprende tutto, riesce a scegliere, ma non può fare. Ha coscienza ma non è libero.


Questo ci porta immediatamente al punto di vista dal quale la questione
vuol essere qui considerata. Può il problema della libertà del
nostro volere essere studiato a sé, isolatamente? E, in caso negativo,
con quale altro deve essere necessariamente collegato?
Se vi è una differenza fra un motivo cosciente del mio agire ed una
spinta incosciente, allora dal primo conseguirà un'azione che dovrà
essere giudicata in altro modo che non un'azione ciecamente forzata. Il
primo problema da trattare è dunque quello di questa differenza, e dal
risultato cui arriveremo, dipenderà la posizione che dovremo prendere
rispetto al vero e proprio problema della libertà.
Che cosa significa aver conoscenza dei motivi delle nostre azioni ?
Questa domanda è stata troppo poco considerata, perché disgraziatamente
si è sempre scisso in due ciò che è un intero indivisibile: l'uomo.
Si è distinto l'uomo agente dall'uomo conoscente, e si è trascurato
quello che importa anzi tutto: l'uomo che agisce conoscendo.


Cita:
(Rob 25/9/12):
l' uomo che agisce conoscendo; superare la divisione tra uomo agente e uomo conoscente;
per Steiner qualora si dimostri la libertà nel pensare è il "solo" modo per poi ritrovare la libertà nel volere.
Ovvio che quindi vi sia una certa insistenza nel ribadire ciò, che farebbe veramente la differenza tra volere libero e non.


Cita:

Giul 29/10/12
Qui lo scarto assunto dal discorso è abbastanza importante. Qui Steiner prepara una forma di opposizione tra due realtà: l'aspetto istintuale e l'aspetto del sacrificio, l'aspetto morale. Andremo a finire che la libertà consisterà nell'essere in grado di scegliere qualche comportamento che istintivo non è, e per ciò stesso risulterebbe libero? Cioè libertà vs istinto. Due poli. Se riusciamo ad escludere il comportamento masochistico trovando che farsi male da sé non è un sacrificio ma comunque uno strano atto egoistico, solo dunque il comportamento che sacrifica qualcosa, vuoi per altri, vuoi per sé stesso nel futuro, appare ormai libero.


Cita:
Rob 29/10/12:
ma si potrebbe invece anche dire: ragionamento vs istinto, ed ecco che ancora la "libertà" non vi sarebbe, ma solo un "grado" ulteriore di libertà (che non è poco).
Ossia, una volta che porto la coscienza del pensare, più che trovare la "libertà" porto la luce della coscienza; che si possa parlare di "libertà" a me pare ancora che si vada oltre.
Infine io più che parlare di "libertà vs istinti" direi "riflessione E istinti".
Poi:
il pensiero non cade a terra per legge di gravità, è umano e non "naturale", ok.
Ma sappiamo bene di quanti impulsi siano qualcosa che ha a che fare con "noi" (il noi più profondo) molto di più di questi pensieri, anche prodotti coscientemente!
Un desiderio profondo, un impulso a volte ci rappresenta molto di più (quindi ci "libera" da ciò che non siamo per renderci ai nostri occhi ciò che "siamo") rispetto a tanti altri pensieri.
Infine:
per quanto riguarda il "sacrificio" questo è un argomento che andrebbe affrontato veramente in profondità.
Mi sacrifico per un rompic...? No, anzi, spesso ci diciamo che forse con certe persone è più saggio comportarsi in un "certo" modo; ossia "non" assecondiamo la "sua" libertà (anche perché lui non sa' cosa sia "libertà!")... e fino a qui è tutto bello... ma poi... cosa resta?
Resta la "nostra" visione di libertà che abbiamo su di lui; resta quello che è il nostro desiderio da realizzare! Ancora una volta (come sempre) è sempre una passione profonda (che non vuol sempre dire meschina), un desiderio intimo a farci andare in una certa direzione! Realizziamo sempre un nostro obiettivo: mai quello dell' altro veramente! SE un mussulmano riceve la carità missionaria... è per farlo diventare cristiano?; SE riceve le nostre cure... è perché abbiamo un nostro desiderio su di lui (magari curarlo!)... e se lui non si fa curare?? Ci giriamo da un' altra parte alla ricerca di qualcun altro... che si voglia far curare da noi... E se invece insistiamo nel volerci "sacrificare" per lui? Magari ci manderà a quel paese... perché la sua "libertà minuscola e non vera" è ai suoi occhi più preziosa di tutta la "Libertà" che noi vorremmo darci per lui!
Insomma, il discorso del "sacrificio" se si va a vedere fino in fondo, rischia di scoprire altre e ulteriori carte.
Archiati in una conferenza dice di uno che è stato derubato di una parte dei suoi averi... e allora, capendo che si tratta del pagamento di un karma (!), corre dietro al ladro dicendo di portare via anche il resto! Ecco: cos'è questo: "sacrificio" o "desiderio" di farsi un buon karma, del paradiso?
Il "desiderio" di povertà di San Francesco l' ha portato a spogliarsi dei suoi beni! Fino un attimo prima questo non era stato portato a coscienza e non si è espresso! Il "desiderio" quindi di... servire gli altri, di aiutare gli altri, di sacrificarsi per gli altri...: è questo che noi poniamo eventualmente in essere.
Questo desiderio così nobile... parte sempre dal proprio desiderio e non dal sacrificio veramente per l' altro! Non si tratta più solo di un semplice "pensiero" irrealizzato (sai, allora saremmo... tutti liberi; io quante belle donne mi sono fatto...con il pensiero).
Se infatti non fosse questo, ma "solo" e realmente un "occuparci" degli altri, allora facilmente invaderemmo la loro libertà, imporremmo"loro" il nostro modello, la nostra visione. Io trovo che molto spesso questo è ciò che accade.
Tolto l' oggetto del desiderio (l' interesse dell' altra persona per l' antroposofia, ad esempio) ecco che l' altra persona viene automaticamente ... a meno!! :lol:
E' il "mio" desiderio quindi per l' antroposofia (porto provocatoriamente questo esempio in questa "casa"), e non l' altrui persona?; questa esiste anche... nei bar, a vedere le partite colla birra in mano, nei circoli neonazisti ecc... ecc... SE si toglie di mezzo l' argomento "antroposofia" (per il quale si va anche nelle carceri!) ecco che i carcerati, ecco che le altre persone vengono lasciate alla "loro" libertà ;) (o meglio, non posso più approfondire con loro quello che è il "mio" desiderio????)
Ho interesse all' euritmia, oppure che l' altra persona possa stare meglio grazie all' euritmia, o che magari possa stare come vuole anche senza euritmia... ma allora "non" mi dedico più all' "euritmia".. ma solo alle persone quale esse siano.... giro per strada a random (non ho più interesse e desiderio per un amico... ma ... per tutti indistintamente)...
Mi fermo qua.. penso di aver chiarito i miei dubbi al riguardo.


Cita:

Giul 31\10\12
Non mi era mai piaciuta molto l'affermazione che il solo modo di essere veramente altruisti consiste nell'essere egoisti per gli altri, cioè estendere il proprio io (= quanto serve al nostro io) sino ad identificarlo col mondo intero, per esempio. Mi pare fosse Salvatore Colonna a sostenere che ciò fosse possibile trovarlo in Steiner stesso.
Più funzionale il richiamo ad una "regola" che, se ben ricordo, si ritrova pure in Kant: per vedere se una cosa che intendo fare sia buona, ho da vederla in rapporto alla generalità delle persone. Se intendo uccidere Caio per rubargli il denaro che mi serve, vedo bene che se il mio comportamento fosse generalizzato per uno che se la gode ce ne sarebbero molti che se la passano male (es.: l'assassinato, sua moglie, i suoi figli ..., ma basterebbe che fosse uno solo).
Comunque, la forma linguistica cambia, ma la sostanza dei due discorsi alla fin fine mi sembra la stessa. Certo che se l'altro rifiuta il mio aiuto, devo pure rispettare la sua volontà. Certo che interessandomi agli altri può accadere che io esprima solo il mio egoismo, è quello che rimprovero a molte associazioni cattoliche. Credo che la linea di discrimine si chiami RISPETTO. Lo stesso Steiner sosteneva che prima ancora di essere amato voleva venire rispettato (e lo penso anch'io).


Robinson ha scritto:
Mi sacrifico per un rompic...? No, anzi, spesso ci diciamo che forse con certe persone è più saggio comportarsi in un "certo" modo; ossia "non" assecondiamo la "sua" libertà (anche perché lui non sa' cosa sia "libertà!")... e fino a qui è tutto bello... ma poi... cosa resta?
Resta la "nostra" visione di libertà che abbiamo su di lui; resta quello che è il nostro desiderio da realizzare!
Prima verrà il rispetto per il, diciamo, grado evolutivo in cui si trova il nostro rompic limitatamente all'area in cui si parla di intervenire; valutando questo mi è chiaro che cosa mi sia veramente possibile fare con un mio intervento, o comunque di quale tenore sia la mia risposta affinché alla fine il vantaggio comune sia il massimo. Naturalmente vi sarà pure un limite alle mie conoscenze, e se trovo un ubriaco per strada, io magari gli butto dell'acqua fredda in testa, tu invece cerchi di accompagnarlo a casa, chi fa meglio? Certamente chi è anche a conoscenza del fatto che lui si ubriaca proprio per non tornare a casa, dove lo attende una moglie detestabile :mrgreen:
Già solo nel fare queste considerazioni supero comunque il pensiero egoistico legato al materiale, e mi do da fare per un perfetto sconosciuto, estendendo cioè il mio io alla generalità degli uomini. Si tratta già di un sacrificio, di rinunciare al "me ne vado per evitare seccature", ma anche al produrre mirabilia di aiuti se dentro di me so bene di farlo per qualche motivazione legata al mio vantaggio.
E comunque Lui non ti proponeva di Amare Il Prossimo Tuo Più Di Te Stesso, ma Come te stesso. Non Meno, non Più.
Certo che se già tu non rispetti te stesso (es. bevi, ti droghi) può essere che non ti sia facile rispettare l'altro. Ma questa è forse già un'altra storia.


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1: quarta parte
Messaggio da leggereInviato: 04/10/2012, 12:52 

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(Cap 1°: 4° parte di 5)


Si dice: « L'uomo è libero quando è soltanto sotto il dominio della
sua ragione e non sotto quello degli impulsi animali ». Oppure: « Libertà
significa poter determinare secondo scopi e propositi la propria
vita e le proprie azioni ».
Ma con affermazioni di questo genere, nulla si guadagna. Ché è
proprio questione di sapere se la ragione, se scopi e propositi non esercitino
sull'uomo una costrizione analoga a quella che esercitano gli
impulsi animali. Se, senza ch'io intervenga, un proposito ragionevole
sorge in me con quella stessa necessità con cui sorgono in me la fame e
la sete, allora io sono imprescindibilmente forzato a seguirlo, e la mia
libertà è una illusione.
Un'altra definizione dice così: « Esser libero non significa poter
volere ciò che si vuole, ma poter fare ciò che si vuole ». Questo pensiero
fu nettamente e acutamente caratterizzato dal filosofo poeta Roberto
Hamerling nella sua Atomistica della volontà: « L'uomo può fare ciò
che vuole, ma non può volere ciò che vuole, perché la sua volontà è
determinata da motivi! - Non può volere ciò che vuole?! Si guardi più
da vicino a queste parole. Hanno forse un senso ragionevole ? La libertà
del volere dovrebbe consistere nel poter volere qualcosa senza ragione,
senza motivo? Ma che altro significa volere se non avere una
ragione per desiderare, o fare, una cosa piuttosto che un'altra? Volere
qualcosa senza ragione, senza motivo, sarebbe volerla senza volerla.
Col concetto del volere è inseparabilmente collegato il concetto del
motivo. Senza un motivo determinante il volere è una vuota potenzialità
: solo grazie al motivo diviene qualcosa di attivo e di reale. È perciò
giustissimo che il volere umano in tanto non è libero, in quanto la sua
direzione è sempre determinata dal più forte dei motivi in gioco. Ma,
d'altra parte, bisogna riconoscere che è assurdo contrapporre questa
non libertà a una libertà del volere concepita come facoltà di volere
ciò che non si vuole » (Atomistica della volontà, p. 213 e segg.).
Anche qui si parla soltanto di motivi in generale, senza fare attenzione
alla differenza fra quelli coscienti e quelli incoscienti. Se un motivo
agisce su di me, ed io sono obbligato a seguirlo perché esso si
dimostra « il più forte » fra tutti, allora certo l'idea di libertà perde ogni
senso. Che portata potrebbe avere per me il potere o non poter fare una
cosa, quando dal motivo io fossi obbligato a farla? Ciò che anzi tutto
importa non è se io possa o no fare una cosa quando il motivo ha agito
su di me, ma se i motivi siano tutti tali da agire su di me con necessità
costringente. Se io sono obbligato a volere una cosa, mi è in certi casi
affatto indifferente ch'io possa poi farla o no. Quando, per il mio carattere
e per circostanze esterne mi venisse imposto un motivo che il mio
pensiero riconoscesse come irragionevole, dovrei anzi esser lieto di
non poter fare quello che voglio.
Ciò che importa non è se io possa portare ad effetto una decisione
presa, ma il modo come sorge in me la decisione.
Quel che distingue l'uomo da tutti gli altri esseri organici, è il suo
pensiero razionale: l'agire, egli l'ha in comune con altri organismi.
Cita:

[/b](Rob 25/9/12):
Ecco la "fonte" degli equivoci: quello che Steiner chiama il "PENSIERO RAZIONALE".
Il Pensiero Razionale??? Sarebbe questo quindi quello che dovrebbe avere "ragione" E del mio carattere
E delle circostanze esterne; quello che mi sottrae ai "motivi" da cui mi sento "obbligato" (ad esempio a diventare guerriero piuttosto che diplomatico o ricercatore!);
Pavarotti è stato "obbligato" dalle sue predisposizioni, dal suo intimo desiderio a diventare cantante lirico; figurarsi cosa sarebbe stato
se si fosse "sottratto" a questa "intima costrizione" per seguire SOLO (e pertanto finalmente libero) il suo Pensiero Razionale!
L' equivoco di tutto sta' in questo: un pensiero COMPLETAMENTE razionale, compiuto in sé, PUO' anche dirsi prodotto dall' Io e non dal carattere (astrale), dal temperamento (eterico)
o da cause organiche (biotipo costituzionale); ma se questo stesso "pensiero" tale non è, mi si presenta SEMPRE sotto forma di "pensiero"!!!, ma, come giustamente osserva Giuliano, VIENE DA tutt' altro che non da "Io".
La prima domanda è quindi:
- come potere serenamente DISCRIMINARE la qualità di questo" pensiero"? perché in un CASO "mi" libera dalle mie necessità inferiori, mentre nell' altro mi rende SCHIAVO (e sappiamo bene tutti qual è la schiavitù di un pensiero), perché la "mente - il pensare-..ci libera". ma anche la "mente... mente".
La riflessione seguente è invece: avendo io dato un giudizio interiore tra un pensiero che libera ed una causa che mi "forza" la volontà, la mia personale capacità discriminatoria sarà messa a dura prova, e sarà facile dirsi di avere un "pensiero libero", ossia completo in sé (l' albero visto da 12 postazioni diverse) invece che RICONOSCERE a se stessi che così non è!
Ossia, è facilissimo cadere nel FRAINTENDIMENTO! "siamo nel bello, nel vero e nel giusto"! Mamma mia, quante volte mi è capitato di dover ascoltare ciò! e perché questo? perché si "seguivano" pedissequamente quelle che erano state recepite come "direttive" (e che tali NON erano) di Steiner!
Insomma, si vive quasi nel "terrore" che possa essere un proprio intimo desiderio, il proprio carattere a prendere decisioni! che non sia quindi l' "Io", il SOLO che può assicurarci "libertà" nella decisione! E così l' unica libertà che spesso osservo, è proprio, è esattamente, questa "libertà da se stessi"! Al punto che si entra in una stanza, avendo lasciato fuori i propri (puzzolenti) scarponi
e ormai si cerca neppure di parlare in senso personale, ma riportando le parole e le frasi di Rudolf (esperienze personali docet).
Quindi a causa di questo volersi "liberare" da se stessi in quanto biotipo, in quanto temperamento e carattere e desideri, per poter finalmente lasciare "libero" SOLO l' "IO" di esprimersi... a causa del fraintendimento ( e dato che "IO" quasi sempre non si vede) ciò che resta è solo una mascheramento; un "nascondere" sotto il tappeto qualcosa che poi invece riemerge prepotentemente eccome! eccome se riemerge! Tutti se ne accorgono, tranne CHI ha provato a mascherarsi! credendosi finalmente "libero" e pertanto parlando "in nome" e per conto del "vero, del bello e del giusto" (e magari anche di "Michele" - esperienza personale docet, spero di non offendere a dire ciò che penso)


Cita:
Giul 29/10/12
Quella contraddizione che trovi all'interno degli antroposofi non è poi altro che la + o - reale contraddizione tra la libertà anche morale dello steineriano pensante e il fatto che nel campo esoterico Steiner è un "maestro" e noi non ci vediamo da soli quasi nulla - e ne siamo dipendenti, cioè necessitati.
L'attivarsi di un pensiero quantomeno simil-religioso (l'antroposofia NON è una religione, ma tratta di esseri spirituali, dunque entra comunque nel campo delle religioni) comporta in coloro che temono il dubbio o soffrono di scarsa autonomia (ma anche nei temperamenti più sinceramente devozionali) un irrigidimento spesso notato, che Steiner stesso usava dileggiare. (aggiungi il retaggio cattolico: il fantasma della confessione-liberitutti determina che uno ti fa la carognata e il giorno dopo ti abbraccia come fratello - ne parlavo in altro post).
Tornando al merito: Ciò che importa non è se io possa portare ad effetto una decisione presa, ma il modo come sorge in me la decisione, scrive R Steiner. Con ciò la ricerca dell'esser libero muove decisamente verso il poter scegliere, e sposta tutto quanto mi impedisca di agire nel senso voluto, nello stesso campo "avverso" della natura. Vale a dire che non posso correre perché sono carcerato oppure non ho l'uso delle gambe, ma questo non c'entra con la libertà, in quanto si tratta di "condizioni", analoghe all'esser biondo o esser nato in Groenlandia.


Ultima modifica di robinson il 04/10/2012, 16:52, modificato 1 volta in totale.

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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1: quinta e ultima parte
Messaggio da leggereInviato: 04/10/2012, 12:54 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 1°: 5° parte di 5)
(qua termina il testo di Steiner, intervallato da chi volesse agganciarsi ad esso per le proprie riflessioni.
Al di sotto di questo, si aprono interventi "generali" sugli argomenti del capitolo in questione)


Per
chiarire le nostre idee sulla libertà delle azioni umane, a nulla giova il
cercare analogie nel regno animale. La scienza moderna ama simili
analogie: e quando riesce a trovare fra gli animali qualche rassomiglianza
con la maniera di comportarsi degli uomini, crede di aver colto
i più importanti segreti della scienza dell'uomo. A quali equivoci un'opinione
simile possa condurre, appare, per esempio, dal libro di P. Rée,
L'illusione del libero arbitrio (1885), dove riguardo alla libertà si dice
(p. 5): « È facilmente spiegabile che il moto della pietra appaia a noi
necessario, e la volontà dell'asino no. Le cause che muovono la pietra
sono infatti esteriori e visibili; mentre le cause che producono la volontà
dell'asino sono interiori e invisibili: fra noi e la sede della sua attività
si trova il cranio dell'asino... Il legame causale non si vede, e quindi si
pensa che non esista. Si ritiene che il volere sia bensì la causa del rivoltarsi
(dell'asino), ma che il volere in sé sia però incondizionato, sia
un principio assoluto ». Anche qui dunque si passa sopra a quelle azioni
umane nelle quali vi è coscienza delle cause motrici; ché, come Rée
spiega, « fra noi e la sede della loro attività c'è il cranio dell'asino ». Le
sue stesse parole fanno vedere come Rée non sospetti neppure che, se
si considerano, anziché le azioni dell'asino, quelle dell'uomo, ve ne
sono alcune in cui, fra noi e l'atto c'è il motivo divenuto cosciente. Infatti
qualche pagina appresso, egli dice ancora: «Noi non scorgiamo le
cause che determinano la nostra volontà, e per questo crediamo ch'essa
non sia causalmente condizionata ».
Ma basti ora con gli esempi che mostrano come molti combattono
la libertà senza neppur sapere che cosa sia.
Che un azione non possa esser libera se il suo autore non sa perché
la compie, è evidente. Ma come stanno le cose per le azioni di cui si
conoscono i motivi? Questo ci porta alla domanda: « Qual è l'origine e
il valore del pensare? ». Perché, senza la conoscenza dell'attività pensante
dell'anima, non è possibile farsi un concetto di ciò che sia conoscere,
e quindi anche di ciò che sia conoscere un'azione. Quando sapessimo
che cosa significa il pensare in generale, ci sarebbe anche
facile comprendere l'ufficio ch'esso adempie nelle azioni umane. « Il
pensare fa sì che l'anima, di cui anche l'animale è dotato, divenga spirito
», dice Hegel a ragione: e perciò il pensare darà anche alle azioni
umane la sua impronta caratteristica.
Con ciò non voglio affatto dire che tutte le nostre azioni discendano
da calme riflessioni della nostra ragione: né intendo affatto definire
come umane nel più alto senso solo quelle azioni che derivano da un
giudizio astratto. Ma non appena le nostre azioni si sollevano al di sopra
del soddisfacimento di desideri puramente animali, le relative ragioni
determinanti sono sempre compenetrate da pensieri. L'amore, la
compassione il patriottismo, sono molle motrici che non si possono
risolvere in freddi concetti razionali. Si dice: qui reclama i suoi diritti il
cuore, il sentimento. Senza dubbio. Ma il cuore e il sentimento non
creano le ragioni determinanti dell'azione. Le presuppongono. Nel mio
cuore entra la compassione quando nella mia coscienza si è già formata
la rappresentazione di una persona che desta compassione. La via al
cuore passa per la testa. A ciò non fa eccezione neppure l'amore. Quando
non è la semplice estrinsecazione degli istinti sessuali, esso riposa
sulle rappresentazioni che ci facciamo dell'essere amato; quanto più
idealistiche sono queste rappresentazioni, tanto più beatificante è l'amore.
Anche qui il pensiero è padre del sentimento. Si dice che l'amore
rende ciechi per le debolezze dell'essere amato. Si potrebbe guardare la
cosa anche al rovescio e dire che l'amore apre gli occhi per i suoi meriti.
Molti passano distrattamente accanto a questi meriti, senza rilevarli.
Uno li vede, e appunto per ciò si desta l'amore nell'anima sua! Che
altro ha egli fatto, se non crearsi di una cosa una rappresentazione che
cento altri non hanno? E poiché non hanno la rappresentazione, non
hanno l'amore.


Cita:
(Rob – 25/9/12):
Su questo punto non credo proprio che le cose stiano SOLO così!
Certo, se almeno non ho UNA rappresentazione, non so' neppure a cosa ancorare
il mio desiderio, il mio sentimento.
Ma posso mostare come Luciano Pavarotti, da bambino, fosse stato nutrito dai suoi genitori di rappresentazioni sull' atletica leggera; ne aveva ormai miglaiia al riguardo; eppure è bastato un giorno che sentisse qualcuno "cantare" un brano lirico, e quell' UNICA rappresentazione è diventata il "motore" per poi tutte le altre innnumerevoli rappresentazioni con cui egli si è arricchito in seguito! Ovviamente è una battuta questa su Pavarotti!
Ma io posso girare tutti gli zoo del mondo ed avere tutte le più perfette rappresentazioni del "leone"; è questo sufficiente per fare ricononoscere in me un interesse per ciò?
O c'è piuttosto finalmente un "riconoscimento" tra UNA rappresentazione (o magari a volte ne servono anche più di una) e quelle che sono le mie doti, le mie inclite predisposizioni e desideri?
Spinoza distuingue molto bene tra "volontà" e "desiderio"; la mia volontà potrà farmi studiare tutti i leoni di questo mondo senza pèrò accendere nulla di più al riguardo; il desiderio invece si aggancia anche a poche rappresentazioni e tutto cambia. Potrò allora scegliere tra la mia volontà (e continuerò a studiare leoni, o fare atletica per sempre) oppure riconoscere (grazie alla rappresentazione) il mio intimo desiderio, che forse contrasta anche con la volontà, che è dato ad esempio dal cantare piuttosto che avere la "volontà" (magari anche ferrea!) di fare dell' atletica leggera!
Se serve la rappresentazione per avere l' amore, di certo la sola rappresentazione (o migliaia anche dello steso tipo, che sempre di più chiariscono il concetto) tuttavia non sono ANCORA sufficienti a fare scattare quel riconoscimento interiore; e di cosa parliamo quindi ancora se non della "libertà" di riconoscere la nostra peculiare "necessità"?



Possiamo guardar la questione da qualunque lato: ci apparirà sempre
più chiaro che il problema dell'essenza dell'azione umana presuppone
quello dell'origine del pensare. Mi rivolgerò, dunque, per prima
cosa, alla ricerca di questa origine.


Cita:
(Rob 25/9/12):
appunto! o l' azione avviene (come a causa dell' istinto) oppure si collega al "pensare"
Se il "pensare" non ha le caratteristiche di libertà a sua volta, fine dei discorsi: ogni azione umana NON è libera!
Se invece Steiner ci dimostra che nel pensare si può essere liberi, allora quando tale "libero pensare" si associa all' atto di volontà, all' azione, anche questa, che ne discende, può dirsi "libera".
Quindi l' appuntamento ora ce lo diamo al prossimo capitolo, per vedere in che modo Steiner ci dimostrerà che l' uomo è potenzialmente "libero" nel pensare!
Ma siccome questo è un film, pardon un libro, che stiamo rivedendo, posso già anticipare quello che a me pare di avere compreso.
Steiner intende per "libero" qualcosa che è "proprio" dell' uomo e non che gli viene come "dato"; infatti in tutto ciò che ci viene "dato" non abbiamo che una libertà di scelta: scelta tra diverse opzioni ma che GIA' esistono! Invece nel "pensare", se ciò E' proprio dell' uomo, allora siamo "liberi di creare"!
Ma Spinoza ora direbbe: dato che la "libertà" di creare NON significa tirare i dadi a caso, tale libertà a sua volta si LEGA di necessità a "CHI", a "COLUI" che crea.
Insomma, per Spinoza può esservi una "bassa necessità", per cui è il proprio carattere, i propri istinti, i propri bisogni organici a decidere; e c'è invece una "alta" necessità in cui a decidere è l' espressione più alta ed intima della nostra peculiarità, delle nostre predisposizioni.
Il GUERRIERO nell' esempio di Steiner è "libero" quando conosce i motivi delle sue azioni, ma nondimeno è necessitato nella misura in cui egli è diventato guerriero e NON ad esempio diplomatico!
Essere allora "libero" ANCHE da questo tipo di necessità, significa, come riporta Hamerling nel testo, poter avere una libertà da se stessi, sia nelle basse che nelle alte necessità; una libertà completamente estraniata dal soggetto, da chi la esercita: il "pensare" libera COMPLETAMENTE dal soggetto! Il "pensare" diventa fine a se stesso, in quanto è solo nel "pensare" (come dice Steiner) che siamo liberi e pertanto E' solo nel SOLO pensare (non in altro) che possiamo dirci "liberi".
Per essere pertanto così "liberi" ci liberiamo NON tanto di noi stessi (!!!), ma dell' IMMAGINE che noi abbiamo di noi stessi! Ossia il rischio reale e molto concreto è quello di vivere un grosso FRAINTENDIMENTO! Respiro pertanto nel mio biotipo, nel mio temperamento, nel mio carattere, e cerco in questo mio stato di necessità, di poter avere i migliori pensieri che mi siano concessi di avere all' interno di questo mio corpo organico! Non mi vergogno più di mia "madre", ossia dei miei puzzolenti scarponi, cercando di "togliermeli" per non essere "disturbato" da essi; ricerco non già un pensiero libero, ma il mio miglior pensiero all' interno di ciò che sono; e questa necessità quindi NON vorrò mascherarla, pardon: SUPERARLA, perché in essa ritrovo ad esempio i miei più intimi DESIDERI, la mia più unica peculiarità, le mie doti ed i miei talenti, unici. E questa "unicità" il pensiero NON l' ha! Il pensiero è "universale"; il "pensiero" mi porta fuori da me stesso, per liberarmi (forse) ma anche quasi certamente per non riconoscermi, per non riconoscere, per fraintendere.
Letto su una maglietta di una animalista "gli animali non parlano e si capiscono; gli uomini parlano e non si capiscono".
perché parlano (pensano) NON liberi? O anche perché parlano (pensano) e sono pertanto già molto fuori da se stessi?


Ultima modifica di robinson il 04/10/2012, 20:11, modificato 10 volte in totale.

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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1: prima parte
Messaggio da leggereInviato: 04/10/2012, 13:06 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
a questo riguardo:

"La via al
cuore passa per la testa. A ciò non fa eccezione neppure l'amore. Quando
non è la semplice estrinsecazione degli istinti sessuali, esso riposa
sulle rappresentazioni che ci facciamo dell'essere amato; quanto più
idealistiche sono queste rappresentazioni, tanto più beatificante è l'amore.
Anche qui il pensiero è padre del sentimento. "


che cosa si può dire a proposito?
qua sembra proprio che qualcosa vada "diretto" al cuore (forse non per tutti),
senza troppo lambire il pensare e le rappresentazioni.
Anzi: qua l' "oggetto" si dà per primo (come sempre) e solo in seguito parte il pensiero
che subito incasella, soppesa, riflette e ragiona.
Prima che la mente pensi a che strumenti sono usati, al periodo storico in cui sono state prodotte queste opere,
che tecnica cantora e quant' altro, sembra che qua la via sia "diretta" al cuore, e al sentimento
(anzi, ai diversi sentimenti)
Ma per ora... si può provare a "spegnere" la mente di fronte a ciò:

http://www.youtube.com/watch?v=n0D6wqoO-0E

http://www.youtube.com/watch?v=xpzdB0G3 ... re=related

http://www.youtube.com/watch?v=9mrVZHPi ... re=related


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1
Messaggio da leggereInviato: 19/10/2012, 1:35 
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Iscritto il: 13/07/2011, 20:31
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2 interventi nella prima parte - colorati


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1
Messaggio da leggereInviato: 29/10/2012, 0:46 
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Messaggi: 585
Due interventi nella parte seconda, colorati, oggi 29\10.
Vi prego di leggerli con attenzione, c'è dentro tutta la mia esperienza di ceccatiano. Magari anche rispondere, prima o poi (meglio se non un mese dopo, come è toccato a me :P ).

Inoltre due interventi nella terza parte, assai consequenziali, ed uno nella quarta.


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Messaggio da leggereInviato: 29/10/2012, 8:50 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
cap 1 3° parte:
aggiunta riflessione;


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 1
Messaggio da leggereInviato: 31/10/2012, 3:16 
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Iscritto il: 13/07/2011, 20:31
Messaggi: 585
cap 1 3° parte:
aggiunta riflessione alla precedente di Robinson (a cui ricordo il grande Defoe: "Badrone, me chiamare Domenico, ma mia moglie chiamare me Venerdì berche dire che io venire sembre trobbo bresto!")


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