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Autore Messaggio
 Oggetto del messaggio: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 9:27 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
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(Cap 3: 1° parte di 8)



III - IL PENSIERO AL SERVIZIO DELLA COMPRENSIONE DEL MONDO.

Quand' osservo come una palla di biliardo trasmette ad un'altra la
spinta che ha ricevuta, io resto senza alcuna influenza sullo svolgersi
del fenomeno che osservo. La direzione e la velocità della seconda
palla sono determinate dalla direzione e dalla velocità del moto della
prima. Finché rimango semplice osservatore, non posso dir nulla sul
moto della seconda palla se non quando tale moto è già avvenuto. Diverso
è il caso, se comincio a riflettere sul contenuto della mia osservazione.
La mia riflessione ha lo scopo di formare dei concetti di quel
che avviene: mette in rapporto il concetto di una palla elastica con certi
altri concetti della meccanica, tenendo conto delle speciali circostanze
che accompagnano il fenomeno. Io cerco dunque di aggiungere al processo
che ha luogo senza il mio intervento un secondo processo che si
compie nella sfera concettuale. Quest'ultimo dipende da me: e ciò è
mostrato dal fatto ch'io posso contentarmi della semplice osservazione
e rinunziare a qualsiasi ricerca di concetti, se non ne sento il bisogno.
Se però ne sento il bisogno, non mi acquieto fino a che non abbia trovato
un nesso fra i concetti di palla, elasticità, moto, velocità, ecc. che
stia in un determinato rapporto col processo osservato. Com'è sicuro
che il processo oggettivo si svolge indipendentemente da me, così è
sicuro che il processo concettuale non può svolgersi senza l'opera mia.
Se questa mia attività sia veramente emanazione della mia indipendente
entità, o se - come i moderni fisiologi ritengono - io non possa
pensare come voglio, ma debba pensare nel modo che viene determinato
dagli stessi pensieri (e relative combinazioni) presenti nella mia
coscienza (v. Ziehen, Guida per la psicologia fisiologica, Jena, 1893,
p. 171), sarà oggetto di successiva indagine. Per ora, stabiliremo soltanto
il fatto, che noi ci sentiamo continuamente obbligati a cercare
concetti e combinazioni di concetti, che stiano in un determinato rapporto
con gli oggetti e coi processi che avvengono senza il nostro intervento.



Cita:
Rob 8/10/2012:
Qua si vuole continuare a far comprendere al lettore, e credo che sia del tutto sia comprensibile che accettabile, che mentre quanto giunge all' uomo per via dell' osservazione si compie in modo passivo, in quanto "dato",
per quanto riguarda il concetto (o meglio, la rete concettuale che si stende su quanto percepito) ciò non avviene senza la diretta attività dell' uomo stesso!
Osservo l' oggetto, e ciò è indipendente da me;
opero il processo concettuale, e ciò è opera mia.
Che entrambe questi processi non avvengano nello stesso modo, possiamo constatarlo nei bambini, dove all' ossservazione che viene data, in un primo momento NON si associa la contestuale esperienza concettuale, che viene acquisita solo in seguito!



Se il far questo sia veramente opera nostra, o sia opera di un'immutabile
necessità, è questione che per il momento vogliamo lasciare
impregiudicata. A prima vista, appare indiscutibilmente come
opera nostra: noi sappiamo benissimo che insieme con gli oggetti non
ci vengono dati senz'altro anche i relativi concetti: l'osservazione immediata
ci dice che tale attività viene da noi; ma potrebbe anche trattarsi
di una illusione. La questione per ora è questa: « Che cosa ci guadagniamo
a scoprire per ogni processo un parallelo concettuale? ».
Vi è una differenza profondissima fra i mutui rapporti che hanno
per me le varie parti di un processo prima ch'io abbia scoperto i corrispondenti
concetti, e dopo. La semplice osservazione può seguire le
parti di un dato processo nel suo svolgimento ma il loro nesso rimane
oscuro finché non vengono in aiuto i concetti. Io vedo la prima palla di
biliardo muoversi con una data velocità verso la seconda: per sapere
quel che avverrà dopo seguito l'urto, devo aspettare che l'urto sia avvenuto
e seguire di nuovo con gli occhi i fatti. Se, ad es., al momento
dell'urto qualcuno mi nasconde il campo su cui si svolge il processo, io
- come semplice osservatore - resto completamente all'oscuro di quel
che avviene dopo. Ben diverso e il caso, se io mi ero già formato prima
che mi si coprisse il campo, dei concetti corrispondenti alle condizioni
del fenomeno: allora posso predire quel che avviene, anche se mi si
toglie la possibilità dell'osservazione. Un processo od oggetto semplicemente
osservato non fornisce da sé alcun dato riguardo al suo nesso
con altri processi od oggetti: questo nesso appare soltanto quando all'osservazione
si congiunge il pensiero.

Cita:
Rob: 8/10/2012:
Nell' attesa di valutare se in noi i concetti (pensare) si mettano in moto per necessità oppure siamo noi volontariamente a voler "pensare" concettualmente su quell' oggetto che ci è dato, per ora si può solo dire che il fatto di "osservare" soltanto od invece collegare all' osservazione pure la relativa parte concettuale sono due condizioni molto differenti!
Infatti con il solo osservare possiamo solo cogliere il dato oggettuale così come ci si mostra nel suo divenire (ad esempio la palla da biliardo colpita), mentre applicando i relativi concetti al dato osservabile, noi già possiamo "sapere" dove quella palla terminerà il suo percorso! E questo perché stendiamo una rete concettuale che collega i dati (fenomeni) osservati!


Osservare e pensare sono i due punti di partenza di tutta l'attività
spirituale dell'uomo in quanto egli ne è cosciente: i giudizi quotidiani
dell'ordinario intelletto e le più astruse ricerche scientifiche riposano su
queste due pietre angolari del nostro spirito.
I filosofi sono partiti da
varie polarità originarie: idea e realtà, soggetto e oggetto, fenomeno e
cosa in sé, io e non-io, idea e volontà, concetto e materia, energia e
materia, cosciente e incosciente; ma è facile mostrare che a tutte queste
polarità si deve far precedere quella di osservazione e pensiero, che è
la più importante per l'uomo.
Per poter stabilire un principio qualsiasi, dobbiamo o indicarlo
come da noi osservato in qualche luogo, o esprimerlo in forma di un
pensiero chiaro che possa essere da ognuno egualmente pensato.

Cita:
Rob: 8/10/2012:
Caspita! Per Steiner i due punti di PARTENZA di TUTTA l' attività spirituale dell' uomo sono
l' OSSERVARE (in modo cosciente), ed il PENSARE (in modo cosciente).
Quindi si parte sempre da un lato o da un oggetto osservato da noi oppure da un pensiero chiaro che ci viene esposto (come fosse quindi un oggetto esso stesso che ci si para di fronte), e dall' altra dal pensare che poniamo attivamente in essere.


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 9:30 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 2° parte di 8)


Ogni
filosofo che comincia a parlare attorno ai suoi primi principi, deve servirsi
della forma concettuale, e quindi del pensare: egli ammette con
ciò indirettamente, che la sua attività presuppone il pensare. Non è qui
il momento di decidere se l'elemento principale dell'evoluzione del
mondo è il pensare oppure qualche altra cosa; per ora ci basta di mettere
in chiaro che il filosofo non può arrivare ad alcuna conoscenza senza
il pensare. Nel concretarsi dei fenomeni del mondo il pensare può
forse rappresentare una parte secondaria, ma nel concretarsi d'una conoscenza
dei detti fenomeni esso rappresenta certo la parte principale.


Cita:
Rob: 8/10/2012:
I "pensati", i principi, che giungono al filosofo "come" dati oggettuali, alla stregua di ciò che viene "osservato", ha poi bisogno dell' attività del pensare del filosofo stesso!
Da qui non si sfugge!
Se per l' evoluzione del mondo (ossia, per quanto ci viene poi come "dato"), c' entri o meno il pensare, su questo avremo da rilfetterci in seguito; ma per ora è chiaro che per il "nostro" conoscere questi fenomeni oggettuali, quanto osservato, la nostra attività del pensare sia assolutamente la parte principale; non se ne può prescidere; almeno intendendo per "conoscenza" ciò che si dis-vela a noi, e nello specchio della nostra coscienza.


Cita:
Giul 27\1\13
In effetti, in un triangolo rettangolo il quadrato dell'ipotenusa è uguale alla somma del quadrato dei due cateti, e questo rimane vero anche se non lo penso, non lo capisco. Per farlo mio, devo attivare il mio pensiero, devo scoprirlo in prima persona. Si tratta appunto di scoperte, scoperte di leggi che io non posso mutare. Quando intervengo attivamente sul sentire passivo ho la scoperta. Se invece agisco sugli estremi dell'idea e della materia, ho l'invenzione. Allo stesso modo, nell'arte, un muro che alcune macchie casuali di umidità rendono bello rappresenta una scoperta, ma non una invenzione, che invece ritroviamo nell'atto creativo in cui l'uomo imprime il suo io nell'agire artistico.
Molta arte oggi, prima con la fotografia, poi sempre di più con l'assemblaggio di oggetti ready-made, per esempio, si pone più nel campo della scoperta, della passività, che in quello dell'azione dell'io, e mostra così la crisi di quest'ultimo.


Quanto all'osservazione, essa è un bisogno della nostra stessa costituzione.
Il nostro pensare un cavallo e l'oggetto cavallo sono due
cose che si presentano a noi separate: e l'oggetto cavallo non ci è accessibile
che attraverso l'osservazione. Come nel semplice rimirare un
cavallo non possiamo formarci un concetto del medesimo, così non
possiamo per il semplice pensare attorno a un cavallo produrre l'oggetto
corrispondente.



Cita:
Rob: 8/10/2012:
in quanto organizzato in modo da sembrare esservi dualità (nello specchio della coscienza dell' uomo!), queste due esperienze sembrano essere la risoluzione al minimo comune denominatore; non più risolvibile nell' UNO; questa DUALITA' quindi che sperimentiamo ci dice che l' "oggetto" DA SOLO non può far scattare automaticamente la nostra attività pensante!
Ma che anche il "solo" pensare non produce, non crea, l' oggetto che possiamo osservare. Pensare ad un cavallo, non ce lo pone davanti agli occhi come osservabile.
Steiner da altra parte, osserva come il "pensare" anche in modo molto preciso ed attento al fuoco, non lo rende tale che ci possiamo così "scottare" o "bruciare" "come" se invece fossimo in presenza del fuoco ed allungassimo la mano verso di esso!
Col "pensare" NON produciamo l' oggetto corrispondente!
E con l' "osservare" NON produciamo , in modo AUTOMATICO, il pensare corrispondente.



Cita:
Giul 27\1\13
La confutazione dell'idealismo è evidente. Ma quello che non è vero a livello individuale, può esserlo invece nella storia dell'uomo, e davvero i regni minerale, veget. e an. sono come concrezioni, residui dell'azione dell'io sul mondo.


Cronologicamente l'osservazione precede addirittura il pensiero.
Ché anche il pensiero non possiamo imparare a conoscerlo se non
attraverso l'osservazione. In fondo non abbiamo fatto che descrivere
un'osservazione quando, al principio di questo capitolo, abbiamo visto
come il pensare si accenda in presenza di un fenomeno e vada al di là
di ciò che è dato senza suo intervento. Di tutto ciò che entra nella cerchia
delle nostre esperienze diveniamo consapevoli solo attraverso
l'osservazione. Il contenuto delle sensazioni e delle percezioni, i sentimenti,
gli atti di volizione, le immagini del sogno e della fantasia, le
rappresentazioni, i concetti, le idee, persino le illusioni e le allucinazioni,
ci vengono date attraverso l'osservazione.


Cita:
Rob: 8/10/2012:
Per conoscere serve il pensare, ma prima serve che vi sia l' "osservazione" relativa!
E anche una attività di pensiero, quale la concettualizzazione di un dato processo osservabile,
può diventare a sua volta "oggetto osservabile"!
Noi infatti impariamo "solo" attraverso l' osservazione!
Ed allora dovremo essere coscienti dell' oggetto dato, poi può partire (non in automatico) l' attività del pensare concettuale attorno a quanto datoci; poi possiamo essere consapevoli di questa ulteriore "osservazione" che è data dal risultato della nostra attività concettuale!
Nello specchio della nostra coscienza quindi alla prima osservazione (data) si potrà accompagnare la seconda osservazione, la quale questa volta però scaturisce da una nostra attività (pensante).



Però il pensare, come oggetto dell'osservazione, si differenzia essenzialmente
da tutte le altre cose. L'osservazione di una tavola, di un
albero, ecc. comincia per me appena questi oggetti appaiono sull'orizzonte
della mia esperienza; ma il pensare attorno a questi oggetti non
lo osservo contemporaneamente. Io osservo la tavola; il pensare sulla
tavola lo eseguisco, ma non l'osservo nello stesso momento. Bisogna
prima ch'io mi collochi in un punto esterno alla mia propria attività, se,
accanto alla tavola, voglio osservare anche il mio pensare sulla tavola.
Mentre l'osservare oggetti e processi e il pensare attorno ad essi sono
condizioni quotidiane che riempiono continuamente la mia vita, l'osservare
il mio pensare è una specie di condizione eccezionale. Di questo
fatto bisogna tenere adeguatamente conto, quando si tratta di stabilire
il rapporto fra il pensare e tutti gli oggetti dell'osservazione. Bisogna
che sia ben chiaro che, quando osserviamo il nostro pensare, applichiamo
ad esso un procedimento che costituisce la condizione normale
per l'osservazione di tutto il restante contenuto del mondo, ma
che in questa condizione normale non avviene mai riguardo al nostro
pensare stesso.

Cita:
Rob: 8/10/2012:
Questa "seconda" osservazione però può mancare!
Infatti è condizione "normale" che, per suscitare l' attività pensante, vi sia sullo specchio della coscienza l' oggettto o il processo "osservato", al quale poi collego la mia propria attività pensante, la quale di per sé Non è a sua volta però "oggetto" osservabile! Al punto infatti che diciamo "è una tavola" e non "io penso su di una tavola". Quindi il pensare è attività propria, ma non diventa "automaticamente" un oggetto osservabile! perché ciò avvenga, devo far sì che ciò che si è prodotto con l'a ttività del pensare finisca a sua volta nello specchio della coscienza come "oggetto".
In definitiva: il pensare concettuale non avviene automaticamente ma solo per opera dell' uomo! Il "pensare" resosi "oggetto osservabile" (a sua volta) non avviene automaticamente, ma solo per opera dell' uomo!


Qualcuno potrebbe obiettare che ciò che qui ho rilevato riguardo al
pensare, vale anche per il sentire e per le altre attività spirituali: che,
per es., quando ho il sentimento del piacere, il quale è anch'esso provocato
sempre da un oggetto, io osservo quest'oggetto ma non il sentimento
del piacere. Tale obiezione riposa però sopra un errore. Il piacere
non ha affatto col suo oggetto lo stesso rapporto che con esso ha il
concetto formato dal pensare. Io ho in modo nettissimo coscienza che
al concetto di una cosa pervengo per attività mia, mentre invece il piacere
è in me provocato da un oggetto in modo analogo a quello con cui
da una pietra che cade si provoca una modificazione nella cosa su cui
cade. Rispetto all'osservazione, il piacere è dato proprio nello stesso
modo come il processo che lo produce. Ora ciò non vale per il concetto.

Cita:
Rob: 8/10/2012:
Il piacere si lega all' oggetto osservato; perché è da esso creato! Possiamo "osservare" l' oggetto e non anche il "sentimento" di piacere che ci reca; il fatto però che non osserviamo contestualmente il piacere come facciamo per l' oggetto stesso, non significa che il "piacere" sia a sua volta "prodotto" per attività propria dell' uomo! Anzi, il piacere viene evocato sempre da un oggetto, si lega ad esso; ne è una sua impronta "in" noi.

Cita:
Giul 27\1\13
Citazione da F.Giovi, che a sua volta riporta Scaligero:
Ciò che ci appare esterno ci appare esterno perché noi percepiamo.
E' il percepire che divide il mondo in due. E il pensare debole si divide anche lui secondo il percepire.
Ma piano piano noi questo percepire lo cominciamo a superare. Cominciamo a superare la dualità mediante la forza del pensiero che comincia a superare la dualità.


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 9:32 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 3° parte di 8)

Posso domandare perché un determinato processo produca in me il
sentimento del piacere, ma non posso domandare perché un processo
produca in me una determinata somma di concetti. Ciò non avrebbe
alcun senso. Quando rifletto attorno ad un processo, non ho affatto in
vista un'azione sopra di me. Non posso apprendere nulla riguardo a me
stesso, quando, osservando il cambiamento che produce nel vetro di
una finestra il lancio di una pietra, arrivo a conoscere i concetti corrispondenti.
Ma apprendo davvero qualcosa riguardo alla mia personalità,
quando conosco il sentimento che un determinato processo risveglia
in me. Se, di fronte a un oggetto osservato, dico: « questa è una rosa »,
non dico proprio nulla riguardo a me stesso; ma quando del medesimo
oggetto dico: « mi dà il sentimento del piacere », allora ho considerato
non solo la rosa, ma anche me stesso in rapporto alla rosa.
Quindi non si può dire che il sentire si trovi rispetto all'osservazione
nella stessa posizione in cui si trova il pensare. E lo stesso si potrebbe
facilmente derivare anche per le altre attività dello spirito umano.

Cita:
Rob 8/10/2012:
Tutto quanto "avviene" al di fuori di me, provoca una modificazione in me; con il "pensare" non c'è nessun tipo di modificazione, perché nulla "avviene" a partire dal di fuori di me; quindi l' "oggetto"
nel caso del piacere provoca in me due situazione che mi vengono "date": l' oggetto stesso e la sensazione di piacere che l' oggetto provoca in me. Mentre nel caso del "pensare" c'è il solo oggetto
osservato che mi viene come "dato", in quanto il "pensare" risulta dall' attività propria.
Poi, se di questa attività ne facciamo a sua volta oggetto di "osservazione" allora abbiamo coscienza dell' oggetto e, subito dopo, consapevolezza del pensiero prodotto con l' attività del "pensare".
Ma già siamo nella situazione non ordinaria.




Di fronte al pensare, esse appartengono tutte alla stessa categoria
cui appartengono altri oggetti e processi osservati. È appunto caratteristico
della speciale natura del pensare d'essere un'attività che si rivolge
solo all'oggetto osservato e non alla personalità pensante. Ciò si rileva
già nel modo in cui noi esprimiamo i nostri pensieri riguardo a una
cosa, in contrapposto al modo con cui esprimiamo i nostri sentimenti o
i nostri atti di volizione. Quando vedo un oggetto e lo riconosco per
una rosa, in generale non dirò «io penso attorno a una rosa» ma «questa
è una rosa». Dirò però «mi dà piacere questa rosa». Nel primo caso
non mi viene minimamente fatto di esprimere che ho un certo rapporto
colla rosa, nel secondo caso è invece proprio questo rapporto che ho in
vista. Coll'espressione « io penso attorno a una rosa » entro già in quello
stato eccezionale sopra accennato, in cui diviene oggetto dell'osservazione
qualcosa che è sempre contenuto nella nostra attività spirituale,
ma non come oggetto osservato.
La speciale natura del pensare sta in ciò: che il pensante dimentica
il pensare intanto che lo esegue. Non è il pensare che occupa il pensante
ma l'oggetto osservato su cui pensa.
La prima osservazione che facciamo attorno al pensare, è quindi
questa: ch'esso è l'elemento inosservato della vita ordinaria del nostro
spirito.

Cita:
Rob 8/10/2012:
Essendo attività propria dell' uomo, il "pensare" pertanto NON si esplica "sull' " uomo (come l' osservazione di un oggetto, o come il sentire piacere ecc...) ma si esplica "dall'" uomo; e pertanto si riversa UNICAMENTE sull' oggetto osservato!
E' elemento "inosservato" in quanto essendo "non dato" non giunge nel campo di coscienza come "prima" esperienza! (da cui partire col successivo processo pensante!); se l' oggetto NON è osservato NON può neppure partire il successivo processo del "pensare"! Mentre il "pensare" stesso può restare inosservato, proprio perché "non" oggetto!




La ragione per cui, nella vita quotidiana dello spirito, non osserviamo
il nostro pensare, sta nel suo essere un prodotto della nostra
propria attività. Ciò che non produco io stesso, si presenta come qualcosa
di oggettivo nel campo della mia osservazione. Io vedo me di
fronte a qualcosa che è sorto senza il mio intervento, che viene verso di
me, ch'io devo prendere come il presupposto del mio pensare. Nel tempo
ch'io penso attorno a un oggetto, io ne sono assorbito, il mio sguardo
è ad esso rivolto. In questa occupazione consiste la riflessione pensante.
Non sulla mia attività, ma sull'oggetto di quest'attività è diretta
la mia attenzione. In altre parole, mentre penso, non vedo il mio pensare
ch'io stesso produco, ma l'oggetto del pensare, ch'io non produco.

Cita:
Rob 8/10/2012:
è ovvio che l' "attenzione" sia rivolta a ciò che mi si para davanti, come sorpresa (non sono io a produrlo!); e pertanto "vedo" l' oggetto che io non produco; mentre "non vedo" l' attività che io stesso produco (il mio pensare); perché per essa, non c'è nessun bisogno che io stia contemporaneamente attento!.



Nell'identico caso mi trovo persino quando lascio avverarsi lo stato
eccezionale nel quale penso attorno al mio stesso pensare. Non posso
mai osservare il mio pensare presente; solo delle esperienze fatte riguardo
al processo del mio pensare, posso poi fare oggetto del pensare.
Dovrei scindermi in due personalità - in una che pensa e in una che si
guarda pensare - se volessi osservare il mio pensare presente. Ma ciò
non posso fare. Posso compierlo solo in due atti distinti. Il pensare che
deve essere osservato, non è mai quello presentemente attivo, ma un
altro. Se a questo scopo io osservi il mio stesso precedente pensare, o
se segua il processo di pensiero di un'altra persona, o se finalmente io
presupponga - come nel caso del moto delle palle di biliardo - un processo
fittizio di pensiero, non ha importanza.
Due cose non sono conciliabili, una produzione attiva e una contrapposizione
riflessiva. Questo appare già nel primo libro di Mosè.
Nei primi sei giorni della creazione Dio fa sorgere il mondo, e soltanto
quando questo esiste, sorge la possibilità di rimirarlo: « E Dio guardò
tutto quel che aveva fatto: ed ecco, era molto buono ». Così è anche del
nostro pensare. Deve esistere, prima che si possa osservarlo.

Cita:
Rob 8/10/2012:
Dunque il "pensare" è inosservato (normalmente) in quanto, ci dice Steiner, siamo noi a produrlo e quindi non ci serve porre attenzione a ciò che noi stessi produciamo; l' attenzione invece è rivolta verso quanto ci viene incontro, ci viene "dato", senza che ciò dipenda da noi (in quanto ossia non siamo noi a produrlo).
Ma dal momento che invece rendiamo "osservabile" il pensare, dal momento che questo ci si rende come "oggetto", vuol dire che è qualcosa che è già stato creato!! Solo che gli oggetti esterni sono stati creati NON da noi e a noi dati! In questo caso invece noi "creiamo" il pensare con la nostra attività, e subito dopo lo rendiamo "oggetto" della nostra osservazione! Il pensiero quindi è figlio del pensare (e siamo "noi" a pensare! Questo rende interessante l' esperienza che facciamo di questo tipo particolare di "oggetto": ogni ALTRO oggetto non è da noi creato, NON dipende da noi; nel pensiero siamo sicuri che siamo stati noi a crearlo con la nostra attività propria).
Ma il pensiero è la controparte "osservabile" del pensare, il quale, per sua natura, è inosservabile.
Quando "creiamo (produciamo)" non osserviamo: prima di tutto perché non ne abbiamo bisogno (come si trattasse di un "oggetto" invece osservabile), ma poi ANCHE se volessimo fare del nostro pensare un oggetto, alla stregua degli altri, ciò che si mostrerebbe nello specchio della coscienza NON sarebbe già più l' attività propria del pensare, ma la sua controparte oggettuale: il pensiero, il concetto a cui sono cosciente.


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 9:34 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 4° parte di 8)


La ragione che ci rende impossibile l'osservare il nostro pensare
nel suo svolgimento attuale di ogni istante, è la stessa che ce lo fa riconoscere
come più immediato e intimo di ogni altro processo nel mondo.
Appunto perché noi stessi lo produciamo, conosciamo ciò che è
caratteristico del suo svolgimento e il modo in cui si compie. Ciò che
negli altri campi dell'osservazione può essere scoperto solo per via
indiretta - cioè il nesso causale e il mutuo rapporto dei singoli oggetti -,
per il pensare noi lo sappiamo in modo immediato e diretto.

Cita:
Rob 9/10/12:
In tutto quanto ci viene dato come "osservato", pertanto NON prodotto da noi stessi, occorre poi la facoltà del pensare se si vuole "conoscere" (i nessi causali, i concetti relativi, che fanno parte anch' essi dell' "oggetto", ad esempio le leggi di natura che fanno sì che un sasso compia una parabola se lanciato in avanti); in tal modo noi non "solo" osserviamo l' oggetto, o il processo, o il fenomeno (tutti della stessa categoria) ma grazie alla relativa rete concettuale possiamo conoscere, ossia cogliere ciò che vi è di "ulteriore" e non "dato" alla semplice osservazione.
Invece, per quanto riguarda il pensare stesso non abbiamo bisogno di "conoscerlo", ossia di usare la facoltà del pensare, in quanto si tratterebbe... di pensare il pensare stesso! Il pensare (attività propria dell' uomo) non ha bisogno quindi del pensare (attività propria dell' uomo)!
(Non mi sono sbagliato a ripetere due volte nello stesso modo!)
Al contrario di qualsiasi altra produzione che non derivi dall' uomo (attività NON propria dell' uomo) che pertanto HA bisogno del pensare (attività propria dell' uomo) se non vuole restare alla stregua di semplice osservazione!



Dalla
semplice osservazione io non so perché al lampo segua il tuono; ma
perché il mio pensiero colleghi il concetto di tuono con quello di lampo,
lo so immediatamente dal contenuto dei due concetti. Naturalmente
non ha in ciò alcuna importanza che i miei concetti di lampo e tuono
siano giusti: il nesso dei due concetti, quali li ho, mi è chiaro per sé
stesso.
Questa trasparente chiarezza riguardo al processo del pensare è del
tutto indipendente dalla nostra conoscenza delle sue basi fisiologiche.
Io parlo qui del pensare quale ci si rivela dall'osservazione della nostra
attività spirituale: e non considero affatto il modo in cui un procedimento
materiale del mio cervello può produrne o influenzarne un altro
nel tempo ch'io sto compiendo un'operazione di pensiero. Ciò ch'io
osservo nel pensare non è: quale processo entro il mio cervello collega
il concetto di lampo con quello di tuono, ma che cosa mi spinge a mettere
i due concetti in un determinato rapporto fra loro. La mia osservazione
mi dice che nel connettere i pensieri io mi baso sul loro contenuto,
e non sui processi materiali che hanno luogo nel mio cervello.

Cita:
Rob 9/10/12:
Nel pensare ci sfugge la base fisiologica che avviene (quali siano le vie e le sostanze che sottendano materialmente), per cui "materialmente" sia quindi "possibile" avere il collegamento tra due concetti: ad esempio quello di lampo e di tuono! Non è una operazione materiale che avviene a collegare i concetti tra di loro. Cercare il "pensare" non come attività primigenia, ma solo e anch' esso come ulteriore "oggetto", significa avere un "a monte" che lo produce! Significa quindi rimandare a processi cerebrali e quindi "naturali" il pensare stesso; che a questo punto sarebbe alla stregua di ogni altro "oggetto" che ci viene dato (in modo quindi "naturale": vuoi a partire dalla natura esterna, vuoi da quella interna all' uomo stesso).
Se l' uomo invece produce da sé il pensare, occorre spezzare la catena per cui qualcosa viene prodotto (da altri, da "Dio" o dalla natura), e poi viene necessariamente "osservato" dall' uomo, come "estraneo" quindi a sé.
Qua Steiner quindi dice che sul "pensare" NON è possibile venire rimandati ad un "prima"; il "pensare" nasce non sotteso a null' altro da cui dipendere per la propria produzione!
Il concetto quindi che "unisce" i due concetti (di lampo e di tuono) è primigenio nell' uomo che lo produce; come sono primigenii anche i due concetti che ne sono alla base: di tuono e di lampo! (Steiner direbbe, meglio, che questi concetti derivino essi stessi dal primigenio "pensare")



Per
un'epoca meno materialistica della nostra, quest'osservazione sarebbe
affatto superflua; ma al giorno d'oggi - in cui c'è chi crede che quando
si sappia che cosa è la materia si sappia pure in qual modo la materia
pensa - bisogna dire esplicitamente che si può ben parlare di pensiero
senza invadere subito il campo della fisiologia del cervello. Per molti
uomini d'oggi è difficile afferrare il concetto del pensare nella sua purezza.
Chi alla rappresentazione del pensare quale l'ho qui svolta, contrappone
subito la proposizione di Cabanis: « I pensieri sono la secrezione
del cervello, come il fiele è la secrezione del fegato o la saliva
quella delle glandole salivali, ecc. », non sa neppure di che cosa io
parlo. Egli cerca d'afferrare il pensare attraverso un semplice processo
di osservazione, come fa per altri oggetti del mondo. Ma per tal via
non potrà mai afferrarlo, giacché - come ho dimostrato - il pensare si
sottrae propriamente all'osservazione normale. A chi non può superare
il materialismo, manca la facoltà di collocarsi in quello stato eccezionale
sopra descritto, per cui diveniamo coscienti di ciò che rimane incosciente
in ogni altra attività del nostro spirito. Con chi non ha la
buona volontà di collocarsi in quel punto di vista è impossibile discorrere
del pensare, come è impossibile discorrere di colori con un cieco.
Un tale non creda però che noi scambiamo dei processi fisiologici col
pensare. Egli non spiega il pensare, perché non lo vede.
Ma per chiunque abbia la capacità di osservare il pensare, - e con
un po’ di buona volontà questa capacità può averla ogni uomo normalmente
organizzato - tale osservazione è di gran lunga la più importante
di quante se ne possano fare. Poiché qui l'uomo osserva qualcosa
ch'egli stesso produce: non si trova di fronte ad un oggetto a lui estraneo,
ma alla sua stessa attività: egli sa come sorge quello che osserva:
vede i nessi e i rapporti. S'impadronisce così di un punto fisso, dal quale
può con fondata speranza muovere verso la spiegazione di tutti gli
altri fenomeni del mondo.

Cita:
Rob 9/10/12:
Il pensare è "inosservato"; non ce n'è proprio bisogno che qualcosa che viene prodotto dall' uomo stesso sia "presentato" a sé, come invece avviene per qualsiasi altro oggetto che non è prodotto dall' uomo, ma "arriva", "giunge" all' uomo, sia a partire dall' esterno che dall' interno.
MA all' uomo è possibile fare l' esperienza del pensare sul proprio pensare; ossia rendersi consapevoli di quanto è produzione del pensare; e anche se è poi vero che ciò che viene così "osservato" NON si tratta della stessa attività del pensare, tuttavia abbiamo ORA la certezza (ovviamente se ci sentiamo in grado di validare ciò che Steiner fino a qua ci ha detto!) che almeno "su" quell' oggetto di osservazione che ci poniamo davanti a noi (ed esattamente come fosse un qualsiasi "altro" oggetto di osservazione!) sappiamo "chi" l' ha prodotto!!! Ossia, NON sappiamo "chi" abbia prodotto "tutti" gli altri oggetti (Dio? La Natura nel suo diventire??) ma almeno "ora" sappiamo CHI abbia prodotto questi "ultimi" oggetti che coscientemente e volontariamente ci poniamo di fronte, nello specchio della coscienza pertanto. L' "oggetto" del pensare stesso è prodotto da me! Nient' altro di ciò che è esterno a me, ed anche interno (tutto, tranne che il pensare) è "prodotto" da me, ma "avviene" in me, quale naturale divenire del mondo.
Quindi, per Steiner questo è un punto "fermo", dal quale poi ripartire con le successive riflessioni.
Ma ora questo punto "fermo" è, col ragionamento fin qui prodotto, validato.

A dire il vero, non è che fino a questo momento mi sia sentito di fare delle obiezioni; ho solo voluto cercare di "capire" al meglio ciò che Steiner dice, dandogli quindi una certa fiducia, per arrivare a comprendere fino in fondo il suo processo; poi in seconda battuta può starci una eventuale critica a riguardo dei punti sui quali non si fosse convinti della bontà.
E questo è il momento in cui, parallelamente, mi sentirei di dire qualcosa a riguardo del percorso che Steiner sta compiendo!
C'è un "pensare" che avviene in modo incosciente; noi non vediamo tutto quanto "produciamo" fino al momento in cui davanti alla nostra coscienza compare il pensiero od il concetto; non vediamo cioè come vengano tirate le fila per cui ad un certo punto, là nello spazio davanti a noi, da una rete infinita di elettroni che girano, di vuoto ecc.., ad un certo punto ci "compare" ad esempio davanti "una mela" nel suo essere così ben definito e separato da tutto il resto che vi è attorno.
E' lo stesso "pensare" che opera tutto questo "lavoro", ma è un lavoro tutto sotterraneo, quindi "incosciente"!
Ora fa un po' specie parlare di un "pensare" come un qualcosa che parte dall' uomo come attività "propria" E d' altra parte che sia un processo inconscio. Siamo abituati cioè che anche tutti gli altri processi che avvengono inconsciamente nell' uomo siano come "dati", avvengano quindi "per natura": ad esempio ciò che sta ora avvenendo nel mio fegato, piuttosto che tutto quanto stia scorrendo per i miei nervi simpatico e parasimpatico ecc....
Insomma, se dovessi dire che qualcosa avviene per "attività propria" dell' uomo, mi aspetterei di dire anche che di ciò dovrei esserne consapevole! E infatti POI si porrà l' estrema importanza di un "pensare" che sia "cosciente", ossia reso "oggetto" di osservazione.
MA l' attività del pensare stesso MAI potrà essere fatta a sua volta "oggetto" di osservazione in presa diretta! perché essa, in quanto attività, resta in-osservabile! (Dio non può al contempo "creare" il mondo ed anche "osservarlo"; se "vuole" oservarlo, deve fermarsi... fare un passo indietro... e solo allora può osservarlo: come oggetto creato, e non come attività nel mentre lo crea!).
Allora diciamo che questo è sicuramente un punto su cui soffermarsi a riflettere ulteriormente!
Noi possiamo essere "coscienti" di oggetti che non sono prodotti da noi;
e siamo "incoscienti" di oggetti che pure NON sono creati da noi!
Anche ammettendo che non è il cervello a secernere pensieri (alla stregua del fegato che secerne), come ci è veramente "possibile" dirci che nel "pensare" è sicuramente l' uomo a "crearlo"?
Noi sappiamo ormai dell' esistenza di pensieri che derivano dalla "natura"; il pensiero ossessivo che deriva (di natura pertanto) dal polmone - ad esempio -; di esso noi potremmo anche farcene "coscienti", ma ciò non toglie che esso sia derivato dal fegato!
Qua si dice che allora... non dobbiamo "aspettare" che un pensiero "arrivi" (dal fegato, appunto, o da altrove) perché così, anche se ci rendiamo coscienti di esso, è sempre qualcosa che arriva a noi quale "oggetto" di natura (dal fegato appunto). Dobbiamo pertanto essere NOI stesso a "crearlo" un pensiero; SE esso non ci giunge per altra via, ma siamo noi a produrlo, allora questo ci potrà far dire della libertà che abbiamo in esso.
Trovo che sia estremamente "difficile" scindere quanto di un pensiero derivi dal fatto di essere liberamente pensato, e di quanto invece possa giungere in modo condizionato da ciò che in fondo siamo (in quanto anche matura). Il "cosciente pensare" del ricercatore, del diplomatico e del guerriero, sono stati in qualche modo "orientati" per cui un ricercatore è diventato ricercatore, un diplomatico un diplomatico ecc... Ossia, trovo veramente difficile qua "scindere" esattamente i due aspetti; come se si trattasse solo di "nero" o "bianco"; infatti Spinoza si auspica di giungere ad una "libertà nella necessità", ossia nel riconoscimento che possiamo avere un pensiero che ci libera NON da OGNI necessità! perché il mio posto nel mondo E' comunque quello che ho; perché anche se il "pensare" è trans-oggettivo, tuttavia come Steiner riconosce, esso è POI anche instradato dal punto di vista matematico e qualitativo da DOVE noi siamo nel mondo e da COME siamo organizzati! Non è un altro modo di dire che ad esempio "il sole" non ci sarà mai possibile concepirlo diversamente per il fatto che noi i piedi li abbiamo qua sulla terra?
Queste condizioni di cui Steiner parla non sono quindi come delle "necessità"?
Lui dice che però, ripetendo l' esperienza tot volte, è possibile che prima o poi quelle condizioni vengano a meno e pertanto quello è il momento che, affrancandoci dal nostro luogo dove siamo, possiamo finalmente "conoscere". Ma si può "veramente" dire ciò di ogni condizione in cui l' uomo si trova?? O ci sono condizioni per le quali la conoscenza viene ad essere in qualche modo celata, in quanto l' uomo ha a che fare CON la sua organizzazione e CON il posto del mondo dove è posto?
E non possiamo chiamare quindi queste condizioni, come stati di necessità?
Se conoscere significa essere "liberi" dal posto dove siamo posti, per giungere alle alte sfere da cui possiamo vedere l' intero cerchio (ogni cosa vista contemporaneamente da ogni angolatura)
e questo è possibile per Steiner in quanto esperienza del "pensare", quanto poi però ciò può essere veramente esperito dall' uomo? Può veramente "togliersi" dal posto e dalla organizzazione nella quale si trova? Non saranno quindi delle "ali di Icaro" quelle che dovrebbero librarlo al di sopra anche di se stesso (per poter sperimentare di se stesso SOLO questo aspetto proprio di libertà e non tutto il resto da cui viene offuscato – il fegato che ci produce pensieri ecc...!) le quali però ad un certo punto si "scioglieranno", si "bruceranno", in quanto l' Uomo non può veramente "uscire" completamente da se stesso, inteso come unità organica e globale? E pertanto non può esperire l' esperienza totale e globale della conoscenza e della libertà... ossia non può mai farlo a prescindere da se stesso, in quanto "unicum", in quanto inscindibile esso stesso tra sua libertà e sua necessità, tra suo corpo e suo spirito.
Ritorno da questa lunga parentesi dicendo che per ora ci dovremmo veramente chiedere su che basi sia possa pensare il pensare stesso come attività propria dell' uomo in quanto completamente svincolabile da ogni altro aspetto di necessità che è pure insito nell' uomo.
E quanto noi andiamo ad etichettare in modo così preciso e netto ("questo" è libertà e "questo" è necessità) non sia una ulteriore risoluzione che facciamo a livello di coscienza; sapendo bene che AD ORA tutto quanto emerge nello specchio di coscienza dell' uomo è solo una piccola parte, e quasi sempre anche falsa. La "mente che mente" è data da pensieri coscienti anche, che nessun attinenza hanno con la realtà! Il serpente che invece è una corda, le pippe mentali che giungono alla coscienza; o anche tutte le pippe mentali che ponendoci invece in uno stato "creativo" (produttivo) PURE in parte possono permanere! Prova ne è di quante scantonature si prendono dicendosi che si è stati "liberi" nel creare un dato pensiero, nel mettersi lì coscientemente a produrre un dato pensiero (pertanto libero) e poi quanto invece ciò sia ancora un auto-inganno, una falsificazione, una non completa verità, una parte che non è il tutto,ecc...
L' uomo-soggetto infatti (e chi altri?) dovrebbe essere ANCHE garante di se stesso nel dirsi se si tratta di un pensare cosciente e liberamente prodotto o meno; ma un conto è l' uomo che produce un pensare ed un conto è lo stesso uomo che può dire a se stesso di che si tratti a riguardo di quanto ha pensato! L' uomo NON nascendo libero ma necessitato, come può DECIDERE su un proprio pensare a riguardo che esso stesso sia libero o necessitato? Ed infatti questa è la "sorgente" prima di ogni tipo di fraintendimento che si trova, specie in gruppi di persone che si pongano in questa ottica! "credere" che si stia sperimentando una cosa, senza sapere invece bene per nulla che cosa si stia veramente sperimentando! "credere" che sia equanimità lasciare che i manzoniani bravi pongano in essere i loro propositi, ed invece era solo un pensiero necessitato dei reni (paura!) quello che don Abbondio albergava, magari sforzandosi di "produrre" da sé quel tipo di pensiero!
"credere" di percepire interiormente qualcosa che abbia a che fare con gli Spiriti, differenziandoli pertanto e dando a ciascuno di essi un proprio "nome", quando invece magari potrebbe essere solo una suggestione; e così non si vuol dire che questi spiriti così differenziati NON esistano! E che Steiner quindi abbia inventato tutto!! ma solo che anche esistendo... è facile correre nel rischio del fraintendimento e della suggestione.
E di fronte ad essi, l' uomo che fraintende e che si suggestiona... che strumenti ha veramente per potersi così vedere????? per potersi pertanto togliere da quello stato che "ulteriormente" lo priva della sua libertà? Invece che ricercare una libertà nel proprio stato di necessità, ci si necessita ulteriormente, ci si ingabbia ulteriormente! E il paradosso è che per volersi liberare, ci si incatena ulteriormente, e ci si vede invece "liberi".


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 9:36 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 5° parte di 8)

Il sentimento di possedere questo punto fisso ha in dotto il fondatore
della filosofia moderna, Renato Descartes, a basare tutta la conoscenza
umana sulla proposizione: Io penso, dunque sono. Ogni altra
cosa, ogni altro divenire, è là senza di me, non so se come verità, o se
come illusione o sogno. Una sola cosa io so in modo affatto sicuro, in
quanto io stesso la porto a sicura esistenza: il mio pensare. Abbia la
sua esistenza anche un'altra origine, venga da Dio o da qualche altra
parte, io sono sicuro ch'esso esiste nel senso in cui io stesso lo produco.


Cita:
Rob 9/10/12:
Ecco, possiamo dire che con il ragionamento fatto fino ad ora da Steiner, si possa essere senz' altro autorizzati a dire ciò?
Che cioè se tutto il resto viene da Dio, dal divenire della natura ec..., io nel mio pensare (che per moltissimi tratti avviene anche in modo inconscio) abbia una attività propria?
C'è un "proprio" dell' uomo di cui sono cosciente (il pensare cosciente) e c'è un "proprio" dell' uomo di cui non sono cosciente (tutto il processo che avviene nel pensare prima che arrivi il tutto nello specchio di coscienza, come concetto, ad esempio, di "mela");
c'è un "non proprio" dell' uomo di cui sono cosciente (un desiderio, un piacere, un oggetto, un processo, un fenomeno) e c'è un "non proprio" dell' uomo di cui non sono cosciente (tutto quanto sta ora facendo il mio rene e il mio fegato).
Ecco, essere arrivati come fa Steiner, a chiamare: questo è un "proprio" dell' uomo e quest' altro è un "non proprio", dovrebbe essere approfondito di più; perché non è che viene spontaneo dirsi ciò sulla base di quanto scritto da Steiner al riguardo! O mi è sfuggito qualcosa?



Da prima, Descartes non era autorizzato a dare altro significato alla
sua proposizione: egli poteva solo intendere ch'entro il contenuto del
mondo io mi afferro nel mio pensare come nella mia primissima e più
propria attività. È stato molto discusso sul significato che si deve dare
alla seconda parte della proposizione: dunque sono. Non può aver senso
che sotto un unico aspetto. La più semplice affermazione che posso
fare riguardo a una cosa, è che essa è, che esiste. Come questa esistenza
si debba poi specificare più esattamente, al primo momento non
posso dirlo per nessuna delle cose che appaiono all'orizzonte della mia
esperienza. Bisogna prima, per ogni oggetto, esaminare i rapporti
ch'esso ha con altri, per poter determinare in che senso si può parlare
della sua esistenza. Un processo vissuto può essere una somma di percezioni,
ma può anche essere un sogno o una allucinazione. In breve,
non posso dedurre dal processo medesimo il senso in cui esso esiste;
posso aver qualche lume quando lo considero in rapporto ad altre cose,
ma anche allora non posso in fondo sapere se non in qual rapporto esso
sta con queste cose. Le mie ricerche arrivano su terreno solido soltanto
quando riesco a trovare un oggetto tale, che il senso della mia esistenza
io possa ricavarlo dall'oggetto medesimo. Ma tale sono io stesso quale
essere pensante, in quanto do’ alla mia esistenza il contenuto preciso e
poggiante in sé dell'attività pensante. Prendendo questo come punto di
partenza, posso allora domandare: « Esistono le altre cose nello stesso
senso o in un altro? ».

Cita:
Rob 9/10/12:
ora, Steiner ci dice che ALMENO su un "oggetto", che è il nostro pensare reso osservabile, noi possiamo dirci SICURI, CERTI, che esso è fondato, poggia su di noi!
Ora resta il problema di definire tutti gli altri oggetti!
"esistono le altre cose nello stesso senso o in un altro"?
Vedremo che al riguardo Steiner, molto brillantemente in effetti, ci dice che tutti gli altri "oggetti" non sono da noi prodotti!, MA che non potremmo mai veramente conoscerli se non vi fosse qualcosa che è in noi e da noi prodotto! (e ... che cosa c'è che risponde a queste specificazioni???
Il solo "pensare"!!!). Questo "qualcosa", che poi è il pensare, che possa ALLO STESSO MODO connettersi, possa ricongiungersi, abbia capacità quindi "conoscitiva" in quanto oltre ad "abitare" in noi è in grado di "abitare" anche il restante mondo! SE Steiner dimostra (e lo dimostrerà in modo molto brillante) che l' "osservato" che ci viene come "dato" non avesse nessun tipo di addentellato con il "pensare", allora potremmo veramente scordarci di avere l' "osservato" in noi! SE una mela fisica "può" entrare nella nostra coscienza come "mela osservata", è perché c'è una relazione tra quell' "oggetto" mela (esterno) ed il pensare dell' uomo! SE non vi fosse questo tipo di collegamento, sarebbe del tutto impossibile ed impensabile che ad un certo punto una "mela" là fuori possa comparire dentro la nostra coscienza, così da dirci: "Ecco una mela!"
Non sono di certo "solo" gli organi di senso o le vie nervose o il cervello stesso a poterci dare nella coscienza quella "mela" che è posta là fuori, materialmente.
Ma questo sarà il prosieguo del lavoro.


Quando si fa del pensare l'oggetto dell'osservazione, si aggiunge al
restante contenuto osservato del mondo qualcosa che altrimenti sfugge
all'attenzione; ma non si altera il genere di rapporto che l'uomo ha con
le altre cose. Si allarga il numero degli oggetti dell'osservazione, ma
non il metodo dell'osservare. Quando osserviamo le altre cose, si mescola
nel divenire del mondo - in cui ora includo anche l'osservare - un
processo che vien trascurato; è qualcosa di diverso da ogni altro divenire,
di cui non si tiene conto. Ma quando considero il mio pensare,
non c'è più nessun elemento trascurato: ché quel che rimane nello
sfondo, è a sua volta soltanto pensare.


Cita:
Rob 9/10/12:
Il "pensare" quindi "completa" l' oggetto osservato; non "aggiunge" nulla!
Nel momento che mi dico "ecco una mela!" ho solo completato una osservazione,
non l' ho alterata o modificata.
Giuliano ci ha ricordato certe esperienze che si possono fare, con immagini che si possono vedere sia in un modo che nell' altro; ad esempio lo stesso "oggetto" si può mostrare come una coppa oppure come due visi posti di profilo ed uno di fronte all' altro.
L' oggetto è il medesimo! Ma a seconda che il pensare si dedichi ad una parte o all' altra ecco che alla coscienza compare o una cosa o l' altra! E' il pensare (e non l' oggetto) che fa sì che io riconosca
una volta dei volti ed una volta una coppa! Questo "nominare", questo "riconoscere" oggetti è quindi una facoltà del pensare che è all' opera! SE non opera, io posso anche guardare quell' oggetto e NON vedere nè la coppa e nè i volti!
(ma a dire il vero c'è anche il risvolto della medaglia: lo stesso pensare che mi fa riconoscere l' oggetto in questione, può anche portarmi lontano da quell' oggetto, come avviene per esempio da ciò che ciascuno può vedere in delle semplici... macchie di Rorsach)

E comunque questo "pensare" che completa l' osservato, può a sua volta essere "osservato"; in tal modo il quadro è completo; abbiamo l' oggetto osservato, abbiamo il pensare che si connette a questo oggetto (facendocelo riconoscere) ed infine abbiamo l' osservazione di quanto da noi pensato!
Di questi 3 elementi solo il primo è "dato"; il secondo viene prodotto dall' uomo (in modo inconscio) e con il terzo viene reso conscio ciò che l' uomo stesso ha prodotto!
Di questo solo ultimo oggetto noi siamo contemporaneamente "produttori" e "osservatori"; ogni altra cosa osservata da noi NON è però da noi anche prodotta! Anche se il "pensare" non è mai estranea ad essa! perché se così fosse, non vi sarebbe proprio conoscenza, ossia una completezza dell' "osservato" con le caratteristiche sue proprie che NON giungono in prima battuta per la via sensoriale, ma per il pensare, che "coglie" dell' oggetto quelle ulteriori qualità NON date, ma che sempre sono collegabili all' oggetto!


L'oggetto osservato è qualitativamente
uguale all'attività che su lui si dirige. Questa è un'altra proprietà
caratteristica del pensare. Quando ne facciamo l'oggetto dell'osservazione,
non ci vediamo obbligati a ricorrere all'aiuto di qualcosa di
qualitativamente diverso, ma possiamo rimanere nel medesimo elemento.
Quando un oggetto dato, indipendentemente da ogni mia attività,
vien da me preso entro la trama del mio pensare, io vado al di là dell'osservazione,
e vien fatto di domandare: « Che cosa mi autorizza a far
ciò? perché non lascio l'oggetto agire semplicemente su di me? in che
modo è possibile che il mio pensare abbia un rapporto con l'oggetto? ».
Queste sono domande che si deve porre chiunque rifletta sui processi
del suo proprio pensiero, ma cadono quando si rifletta sul pensare stesso.
Noi non aggiungiamo nulla di estraneo al pensare; quindi non c'è
bisogno di giustificarsi di una simile aggiunta.

Cita:
Rob 9/10/12:
ma siamo andati un po' avanti e a questo punto ancora possiamo dirci non autorizzati a dire che tra il "nostro" pensare e l' "oggetto" osservato vi sia una qualche parentela!
MA se l' oggetto osservato è il "frutto" del "nostro" pensare... almeno SU questo tipo di oggetto possiamo dirci certi della relazione che c'è! Il pensare-attività genera da sé il pensare-oggetto di osservazione! Qua la parentela c'è eccome!
(però l' obiezione di fondo che permane in me e che riaffiora è questa: ogni pensiero ha come sua madre il "pensare"! Su questo siamo certi! Poi però sappiamo che vi sono pensieri che "giungono" come per necessità; in questo caso è come se il "pensare" non producesse il pensiero -così anche libero e cosciente nella misura che lo rendiamo volontariamente oggetto nella coscienza!- direttamente; ma è come se il "pensare" sbattesse contro un organo! E quindi ciò che ne scaturisce è un ... pensiero di necessità; anche di esso io mi posso rendere "cosciente" (come no?); ciononostante è stato prodotto sempre dal "pensare" (e chi altri??) ma è poi riemerso passando per il fegato (ad esempio) ed ecco che allora ha perso le sue qualità di "libero" diventando un pensiero necessitato).
Si tratta sempre di un "pensiero" (quindi prodotto in primis dal solo pensare), si tratta sempre di qualcosa di cui ne ho coscienza (altrimenti sarebbe qualcosa di inosservato e noi sappiamo che possiamo anche essere coscienti del nostro modo di re-agire!); ma, infine, si tratta di qualcosa dove manca il collegamento diretto "pensare/pensiero oggetto" perché invece si produce il percorso "pensare/organo/pensiero oggetto". Che possibilità abbiamo quindi veramente al riguardo, sia a livello di discriminare che di operare nel primo senso?)


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 16:52 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 6° parte di 8)


Schelling dice: « Conoscere la natura, significa creare la natura ».
Chi prendesse alla lettera queste parole dell'ardito filosofo, dovrebbe
rinunziare per tutta la vita a conoscere la natura. Ché la natura già esiste,
e per poterla creare una seconda volta, bisognerebbe conoscere i
principi secondo i quali è sorta la prima; bisognerebbe cioè cercare le
condizioni d'esistenza della nuova natura in quella che già esiste. Questa
ricerca, che dovrebbe precedere il rifacimento, sarebbe però la conoscenza
della natura, persino nel caso che dopo la ricerca si rinunziasse
completamente al rifacimento. Solo una natura non ancora esistente
si potrebbe creare senza precedentemente conoscerla.
Quello che con la natura è impossibile - il creare prima di conoscere
- per il pensare noi lo compiamo. Se volessimo aspettare di conoscere
il pensare prima di pensare, non arriveremmo mai a pensare. Dobbiamo
risolutamente pensare per poter poi, per mezzo dell'osservazione
di ciò che noi stessi abbiamo fatto, arrivarne alla conoscenza. Per
l'osservazione del pensare dobbiamo noi stessi fabbricare prima un
oggetto: mentre per tutti gli altri oggetti è stato invece provveduto senza
la nostra cooperazione .

Cita:
Rob 9/10/12:
Viene ancora una volta ribadito che per il "pensare" non può esistere qualcosa di pre-esistente ad esso! Infatti possiamo conoscere qualcosa che già è stato creato! E neppure potremmo "conoscere" SE qualcosa già non fosse stato creato. Ma col pensare noi possiamo solo dapprima crearlo, produrlo cioè; e solo dopo ci sarà possibile (eventualmente!) conoscerlo; se ci poniamo in quello stato particolare per cui da inosservato rendiamo il nostro pensare esso stesso un "oggetto", e quindi a questo punto fonte di conoscenza!
Ossia, creiamo col pensare! Ma non possiamo conoscerlo coscientemente SE poi non lo rendiamo a sua volta (come tutto il resto) "oggetto" di osservazione nel campo di coscienza!


A questa mia proposizione riguardante il pensare, si potrebbe facilmente
contrapporre, come ugualmente giustificata, l'altra che « anche
per digerire non si può aspettare d'aver osservato il processo della
digestione ». Sarebbe però un'obiezione simile a quella che Pascal faceva
a Cartesio contrapponendogli il detto: « Io vado a passeggio,
quindi sono ». Senza dubbio, debbo ben digerire prima di studiare il
processo fisiologico della digestione, ma il paragone col pensare reggerebbe
soltanto se io poi volessi non considerare col pensiero la digestione,
ma mangiarla e digerirla. E non è senza ragione il fatto che la
digestione non può divenire oggetto del digerire mentre il pensare può
benissimo divenire oggetto del pensare.

Cita:
Rob 9/10/12:
il pensare(attività) quindi può diventare pensare(oggetto)!
Ossia, tutto quanto osservabile è "oggetto" per il pensare; il pensare stesso può però a sua volta diventare "oggetto" ; in questo caso non c'è da un lato il "pensare" e dall' altra qualsiasi altro oggetto; bensì da un lato c'è sempre e ancora il "pensare" e dall' altra l' oggetto che è il pensare stesso (nella sua forma osservabile cioè).


È dunque indubbio che col pensare noi teniamo il divenire del
mondo per un lembo, dove senza la nostra partecipazione nulla si produce.
E questo è proprio il punto importante.

Cita:
Rob 9/10/12:
Il mondo, gli oggetti, anche ciò che è in noi in quanto natura viene "creato" dal divenire del mondo; noi "solo" possiamo entrare col pensare e con l' osservazione in tutto ciò; sempre poi che col pensare ci sia "possibile" una qualche forma di conoscenza, dice ancora Steiner! (in quanto la risoluzione di questo enigma va ancora effettuata).
Invece per quanto riguarda l' "oggetto" pensare, non ne siamo solo conoscitori, ma siamo noi stessi cioè i creatori! I produttori! perché il creatore dell' "oggetto" pensare, non è una entità estranea all' uomo stesso (la Natura, Dio) come lo è per tutto quanto il resto, ma è l' uomo stesso! Ecco pertanto la bella immagine, per cui l' uomo NON è separato nel divenire del mondo, ma lo tiene appunto almeno per un lembo! per ciò che cioè gli compete per quanto è possibile come uomo, ossia nel suo "pensare".




Questa è appunto la ragione
per cui le cose si presentano dinanzi a me così enigmatiche: ché
io non prendo nessuna parte al loro prodursi. Me le trovo semplicemente
davanti. Del pensare invece io so come si produce. E perciò non
si può risalire più indietro del pensare, come punto di partenza per la
considerazione di tutto il divenire del mondo.
Voglio qui rilevare un errore riguardante il pensare, che è molto
diffuso. Consiste in ciò, che si dice: « Il pensare, quale è in se stesso,
non ci è dato in nessun luogo. Quel pensare che collega le osservazioni
della nostra esperienza e vi innesta una rete di concetti, non è affatto
uguale a quello che più tardi estraiamo dagli oggetti dell'osservazione
ed eleviamo a oggetto della nostra considerazione. Quello che da prima
intessiamo incoscientemente nelle cose, è tutt'altro di quello che
poi coscientemente ne ritiriamo fuori ».

Cita:
Rob 9/10/12:
qua si dice che quanto emerge a coscienza nel momento in cui ci diciamo "Ecco una sedia!" è cosa ben diversa da tutto il processo inconscio che porta da un coacervo là fuori davanti a noi alla sperimentazione nella coscienza della sedia! E tutto il riarrangiamento tra le varie percezioni (luci, suono, odore, tatto) "in" quella determinata "forma" che è poi l' oggetto di cui diciamo "è una sedia", avviene sempre con il pensare! Ma è un pensare che lavora in modo sotterraneo; non possiamo cogliere ciò che il pensare fa quando "salta" quanticamente dall' oggetto all' organo di senso; e neppure ciò che ancora fa quando dall' organo di senso salta quanticamente lungo le vie nervose (una per ciascuno stimolo sensoriale), e poi ancora da queste al cervello; e ancora e ancora quando dal cervello finalmente tutto giunge a ricomporsi miracolosamente nello specchio della nostra coscienza; ed infine quando il tutto viene di nuovo ri-proiettato sull' oggetto esterno, così finalmente da dirci "ma è una sedia!". Sì, caro ingenuo, E' una sedia; ma non perché quella sedia si è infilata in qualche modo nella tua testa! Ma perché evidentemente c'è "qualcosa" che ha potuto far sì che "quella" sedia che vediamo fuori poi abbia un vero collegamento (e pertanto hai ragione, ingenuo) con la "sedia" che abbiamo percepito! E questo che sembrerebbe un errore, invece grazie al "pensare" è una realtà! E non è invece reale quell' "oggetto-in-sè", (che chissà come veramente sarà), che si mostra a noi, e che nella nostra testa, nella nostra coscienza , si dà sotto forma di quella "sedia" che sembra essere davanti ai nostri occhi! (ma che invece "sedia" non è, caro ingenuo!; chissà "cosa" veramente è.)


Chi così conclude, non capisce che non gli è mai possibile di sfuggire
al pensare. Non si può mai uscire fuori dal pensare, quando ci si
mette a considerare il pensare. Se si vuol distinguere un pensare precosciente
da un successivo pensare cosciente, non si deve dimenticare
che tale distinzione è completamente esteriore e col fatto in sé non ha
nulla a vedere. Io non faccio di una cosa un'altra solo perché la considero
col pensiero. Posso ben figurarmi che un essere dotato d'organi di
senso del tutto diversi dai miei e di un'intelligenza funzionante pure in
modo diverso, abbia di un cavallo una rappresentazione totalmente
diversa dalla mia, ma non posso figurarmi che il mio proprio pensare
divenga un altro solo perché l'osservo. Io stesso osservo ciò ch'io stesso
produco. Qui non stiamo parlando di come possa apparire il mio
pensare ad un'intelligenza diversa dalla mia, ma di come appare a me.
In ogni modo però, l'immagine del mio pensare in un'altra intelligenza
non può essere più vera di quella che ne ho io stesso. Solo quando non
fossi io stesso l'essere pensante e il pensare venisse a me come attività
di un altro essere a me estraneo, potrei dire che, pur risultando la mia
immagine del pensare determinata in quel dato modo, io non posso
sapere che cosa sia in sé stesso il pensare di quell'essere.
Ma per il momento io non ho il minimo motivo di guardare il mio
proprio pensare da un altro punto di vista. Io studio tutto il resto del
mondo per mezzo del pensare; come potrei fare un'eccezione per il mio
pensare?

Cita:
Rob 9/10/12:
Se studio "tutto il resto del mondo" per mezzo del pensare, come potrei affrontare il mio stesso pensare diversamente? Se non con il pensare stesso? Il metro di giudizio che abbiamo è sempre lo stesso: io giudico qualsiasi altro oggetto (anche il diverso pensare di un alieno) nient' altro che con il mio pensare! Non potrei mai farlo col pensare di un altro! E pertanto se col pensare tratto tutti gli oggetti, col pensare stesso tratto gli oggetti derivanti dal mio stesso pensare. Non solo! Se a tutto è sottesa l' attività del pensare (sia per conoscere gli oggetti da un lato, sia per creare gli "oggetti" che derivano dal pensare stesso) come si potrà avere qualcosa d' altro, qualcosa di diverso, da quanto è alla base, è all' origine?


Con ciò considero come sufficientemente giustificato, se nella considerazione
del mondo io parto dal pensare. Quando Archimede inventò
la leva, credette di poter con essa sollevare dai cardini il cosmo intero
pur che gli si desse un punto su cui appoggiare il suo strumento.
Aveva bisogno di qualcosa che si reggesse su di sé e non su un'altra
cosa. Nel pensare noi abbiamo un principio che esiste per sé stesso.
Partiamo dunque di qui, per tentare di comprendere il mondo.

Cita:
Rob 9/10/12:
Ecco, esatto; ancora la parola giusta è "tentare" di comprendere il mondo!
perché ad ora (e se accettiamo la costruzione logica di Steiner che pone in noi stessi il pensare come attività propria) abbiamo "solo" dato credito a quei particolari oggetti che sono prodotti dall' attività del pensare! Ossia gli "oggetti" osservabili del pensare, che non possono NON derivare dallo stesso pensare! (e che Steiner dice essere attività propria dell' uomo).
MA ora manca ancora la parte inerente a tutti gli altri "oggetti", che non siano stati prodotti, creati, a partire dall' uomo!
Come dobbiamo riferirci ad essi?


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 17:25 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 7° parte di 8)


Col pensare
possiamo abbracciare il pensare. La questione è ora di vedere se
per suo mezzo possiamo afferrare anche qualche altra cosa.
Finora ho parlato del pensare, senza tener conto del suo veicolo,
cioè della coscienza umana. Quasi tutti i filosofi contemporanei mi
obietteranno: « Prima che ci sia il pensare, deve esserci la coscienza;
quindi bisogna partire dalla coscienza e non dal pensare; non vi è pensare
senza coscienza ». Al che io replico: « Per riuscire a spiegarmi
quale rapporto esista fra pensare e coscienza, devo cominciare col pensarvi
su. Quindi metto il pensare prima ». A ciò si può rispondere: «
Quando il filosofo vuol comprendere la coscienza, egli si serve del
pensare; in questo senso dunque lo presuppone. Ma nel corso ordinario
della vita il pensare sorge entro la coscienza, quindi presuppone questa
». Se questa risposta si desse al Creatore del mondo il quale volesse
creare il pensare, sarebbe senza dubbio giustificata. Non si può naturalmente
far sorgere il pensare, prima di aver fatto sorgere la coscienza.
Ma per il filosofo non si tratta di creare il mondo, bensì di comprenderlo
: quindi deve cercare i punti di partenza non per la creazione
ma per la comprensione del mondo. Mi sembra molto strano che si
rimproveri al filosofo di preoccuparsi anzi tutto della giustezza dei suoi
principi, e non contemporaneamente degli oggetti ch'egli vuol com
prendere Il Creatore del mondo doveva anzi tutto sapere come avrebbe
trovato un veicolo per il pensare, ma il filosofo deve cercare un punto
sicuro su cui appoggiarsi per comprendere ciò che esiste. A che ci giova
partire dalla coscienza e sottoporla all'analisi pensante, se prima
nulla sappiamo attorno alla possibilità di ottenere una spiegazione delle
cose per mezzo di una tale analisi?


Cita:
Rob 9/10/12:
prima di affrontare questa ulteriore domanda (sul "tentare" di comprendere il mondo), Steiner però qua fa entrare in gioco la coscienza.
Questo specchio "esiste" da prima e così riflette gli oggetti e anche i pensieri eventualmente?
O comunque si "manifesta", prende corpo, in quanto il pensare stesso lo rende esperibile?
Steiner dice che la coscienza è quindi "il veicolo" del pensare!
E' grazie al pensare quindi che possiamo presupporre la coscienza stessa!
Dio ha prima coscienza di sé, e su questa coscienza poi promanano i pensieri;
nell' uomo invece si ha che a partire da questo primo creato, cioè il pensare, si possa avere l' esperienza della coscienza! In definitiva anche "esistendo" la coscienza nell' uomo da prima, NON sarà mai possibile all' uomo poterla esperire!! se prima non vi è un pensiero!
Anche il pensare sulla coscienza presuppone la presenza del pensare;
il conoscere la coscienza stessa deve avvenire per mezzo del pensare! Così come per ogni altro oggetto che si vuole conoscere.
Comprendere questa relazione, tra il pensare e la coscienza, per Steiner è molto importante per quanto poi vorrà dire in seguito!
Insomma, come per ogni altro oggetto già creato, la coscienza non può "mostrarsi" se non vi è un concomitante pensare.
Qua non si tratta di un "oggetto" che si osserva e quindi si affaccia allo specchio della coscienza affinchè il pensare stesso possa completare l' opera e darci quindi la totalità di esso.
Qua si tratta dello specchio di coscenza stesso; anch' esso è stato creato; ed anch' esso quindi si rende "conoscibile" in quanto il "pensare" opera in esso!
Ricordiamoci che non è vero che l' osservazione compare alla coscienza come per "data" e basta, così come "pare" essere; vero è che per completare l' opera dobbiamo produrre un pensare su essa; ed è vero pure che possiamo rendere il nostro pensare ulteriormente esso stesso oggetto; ma anche per quanto riguarda l' oggetto che compare nel campo di coscienza, esso è estraneo all' uomo (non è creato da lui!), ma non al "pensare" dell' uomo!
perché abbiamo già visto che se così non fosse, allora per nulla al mondo potremmo conoscere quella sedia fuori di noi!
Quindi nel campo di coscienza giunge anche con la sola percezione di un "osservato", qualcosa che ha a che fare con il "pensare"!
Cosa sarebbe quindi la coscienza stessa senza il pensare? Forse è difficile immaginarlo; di sicuro noi possiamo "conoscere" la coscienza grazie al pensare stesso; come col pensare possiamo conoscere ciascun oggetto, così vale anche per la coscienza!
Possiamo "conoscere" l' esistenza della coscienza, per il fatto che il "pensare" ivi transita e vi trasnita pure anche nella sola percezione.
E' poi grazie alla coscienza che possiamo percepire l' incontro, in essa, del pensare concettuale con l' oggetto; ma la coscienza ci viene resa dal pensare stesso!
Questo è un punto FON-DA-MEN-TA-LE per Steiner da far comprendere; perché ORA il discorso si dipanerà proprio da come abbiamo risolto questa questione;
è la coscienza che ci permette di fare esistere il pensare?
O al contrario è il pensare che ci permette di esperire la coscienza stessa?
Sulla coscienza poi, in seguito, sarà possibile "osservare" il pensare stesso (oggetto).
Come vedremo, come sempre per primo viene il pensare; e pertanto l' esperienza della coscienza che abbiamo è un frutto del pensare stesso!
Su questo punto mi rendo conto che mi sono un po'... accartocciato :-)
Attendo quindi riflessioni al riguardo che siano più... limpide.



Dobbiamo da prima considerare il pensare in modo affatto neutrale,
non in relazione a un soggetto pensante o a un oggetto pensato: che
in soggetto ed oggetto abbiamo già dei concetti formati. Non si può
negare che prima di poter comprendere ogni altra cosa. bisogna comprendere
il pensare. Chi nega ciò non s'accorge che, come uomo, egli
non è il primo anello della catena della creazione, ma l'ultimo. E che
quindi, in vista di una spiegazione del mondo per mezzo di concetti,
non si può partire dagli elementi cronologicamente primi dell'esistenza;
ma si deve partire da quello che ci è dato come il più prossimo ed
intimo. Non possiamo trasportarci d'un salto all'inizio del mondo per
cominciare di lì la nostra considerazione, ma dobbiamo partire dal
momento attuale e vedere di risalire dal più recente al più antico.
Fino a che la geologia ha parlato di immaginarie rivoluzioni per
spiegare lo stato presente della terra, non faceva che brancolare nel
buio: solo quando ha cominciato a prender per punto di partenza lo
studio dei fenomeni che avvengono ancora al giorno d'oggi sulla terra
e da essi è risalita a tirare conclusioni riguardo al passato, è entrata
sopra un terreno solido. Fino a che la filosofia accetterà tutti i possibili
principi - come atomo, moto, materia, volontà, incosciente, ecc. - resterà
campata in aria. Solo quando il filosofo considererà l'assolutamente
ultimo come suo primo, potrà arrivare alla meta. E l'assolutamente
ultimo a cui è pervenuta l'evoluzione del mondo è il pensare. Vi è chi
dice: « Noi non possiamo sapere con certezza se il nostro pensare in sé
sia giusto o no: quindi il nostro punto di partenza rimane in ogni caso
malsicuro ». Ma chi parla così non ha più ragione di chi sollevasse il
dubbio, se un albero in sé sia giusto o no. Il pensare è un fatto; e non
ha senso parlare della giustezza o della falsità di un fatto. Tutt'al più
posso dubitare se il pensare venga giustamente adoperato, come posso
dubitare se un certo albero dia o no un legname adatto per un determinato
uso. Mostrare in che senso l'applicazione del pensare al mondo
sia giusta oppure falsa, sarà appunto còmpito di questo libro. Posso
comprendere che qualcuno dubiti che per mezzo del pensare si possa
determinare qualcosa riguardo al mondo; ma non arrivo a concepire
che qualcuno metta in dubbio la giustezza del pensare in sé.


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 09/10/2012, 17:25 

Iscritto il: 19/08/2012, 9:35
Messaggi: 99
(Cap 3: 8° parte di 8)
(qua termina il testo di Steiner, intervallato da chi volesse agganciarsi ad esso per le proprie riflessioni.
Al di sotto di questo, si aprono interventi "generali" sugli argomenti del capitolo in questione)




AGGIUNTA ALLA SECONDA EDIZIONE (1918)
In quanto si è finora andato ragionando, si è indicata l'importante
differenza che corre fra il pensare e tutte le altre attività dell'anima,
come un fatto che risulta a chi osservi realmente e spassionatamente.
Chi non voglia osservare così, spassionatamente, sarà tentato di opporre
ai nostri ragionamenti delle obiezioni come le seguenti: se io penso
su di una rosa, esprimo con ciò unicamente un rapporto fra il mio « io
» e la rosa, così come quando sento la bellezza di quella rosa. Nel pensare
esiste un rapporto fra « io » e oggetto nello stesso modo come, per
es. nel sentire o nel percepire. Chi solleva questa obiezione non tiene
conto, che solamente nell'attività pensante l'« io » sa che, fin dentro in
tutte le ramificazioni di quell'attività il suo essere è tutt'uno con l'elemento
attivo. In nessun'altra attività dell'anima si verifica questo caso,
senza residui. Quando, per es., si ha un sentimento di piacere, un'osservazione
sottile permette di distinguere benissimo, fino a qual punto
l'« io » si senta tutt'uno con un elemento attivo, e fino a qual punto vi
sia in lui un elemento passivo, sicché per l'« io » il piacere semplicemente
sorge di per sé. Similmente avviene per le altre attività dell'anima
Solamente non bisogna far confusione fra: « avere immagini mentali
», ed elaborare pensieri mediante il pensare. Le immagini mentali
possono sorgere nell'anima a mo’ di sogni, come vaghi suggerimenti.
Questo non è pensare. Certo, qualcuno potrebbe dire: se s'intende il
pensare in questo modo, in questo pensare sta nascosto il volere, e non
si ha allora a che fare soltanto col pensare, ma anche col volere il pensare.
Questa osservazione tuttavia ci autorizzerebbe solo a dire, che il
vero pensare deve sempre essere voluto. Se non che ciò nulla ha a che
fare con la definizione del pensare, quale è stata data in queste nostre
considerazioni. Comunque la natura del pensare renda sempre necessario
che quest'ultimo sia voluto, quello che importa è che si voglia soltanto
ciò che nell'atto di compiersi appaia all'« io », senza residuo, come
attività sua propria, da esso controllabile. Bisogna anzi dire, che il
pensare, proprio a cagione della sua natura che qui si è rilevata, appare,
a chi l'osserva, intieramente voluto. Chi si dà la pena di esaminare
veramente tutto quanto va preso in considerazione nel giudicare il pensare,
non può fare a meno di osservare che a quest'attività dell'anima è
propria la peculiarità di cui si è qui parlato.
Da una persona, di cui l'autore di questo libro ha grande stima come
pensatore, gli è stato obiettato, non essere possibile parlare del pensare
come qui si è fatto, perché ciò che si crede di osservare come pensare
attivo non sarebbe che una parvenza. In realtà si osserverebbero
solamente i risultati di un'attività non cosciente, che è a base del pensare.
E solo per il fatto che quest'attività non cosciente non può per l'appunto
venir osservata, sorgerebbe l'illusione che il pensare che si osserva
sorge di per sé, allo stesso modo come quando si crede di veder
del movimento nel rapido susseguirsi di luci date da scintille elettriche.
Anche questa obiezione poggia solamente sopra una visione inesatta
dello stato di fatto. Chi la muove non considera che è l'« io » stesso che
stando nel pensare, osserva la propria attività. Per poter essere ingannato,
come nel caso del rapido susseguirsi di luci date da scintille elettriche,
I'« io » dovrebbe trovarsi fuori del pensare. Si potrebbe piuttosto
dire: chi fa un paragone simile s'inganna potentemente come chi,
vedendo una luce in movimento, volesse senz'altro dire che in ogni
punto dove appare, essa viene riaccesa da mano ignota. - No, chi nel
pensare vuol vedere qualcosa di diverso da ciò che viene prodotto nell'
« io » stesso come attività osservabile, deve chiudere gli occhi a tale
semplice fatto evidente all'osservazione, per poter poi mettere a base
del pensare un'attività ipotetica. Chi non chiude gli occhi in questo
modo, deve riconoscere, che tutto ciò che cosi egli « aggiunge mentalmente
» al pensiero, conduce lontano dalla vera natura di esso. L'osservazione
spassionata constata, che non si può attribuire alla natura
del pensare nulla che non si trovi nel pensare stesso. Non è possibile
arrivare a qualcosa che produca il pensare se si esce dalla sfera del
medesimo


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 Oggetto del messaggio: Re: Cap 3
Messaggio da leggereInviato: 27/01/2013, 1:47 
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